The Order - La Recensione

The Order Poster

Quando leggo il nome di Justin Kurzel, ripenso immediatamente al "Macbeth" e ad "Assassin's Creed", entrambi con protagonisti Michael Fassbender e Marion Cotillard. Ci ripenso e dico: "No, amico, mi hai già fregato due volte. Non ti permetterò di rifarlo ancora!". Poi però succede che Kurzel fa un film con Jude Law e con quel film ci va in concorso al Festival di Venezia. Non vince niente, ma qualcuno ne parla benino e non c'è anima che sia una che lo critichi, lo demolisca.
Qualcosa non torna. "Che sta succedendo?", mi chiedo. "Com'è possibile?".
Mentre mi pongo queste domande, mi rendo conto che il signor Kurzel mi ha già (ri)preso all'amo, si è giocato le carte Jude Law-Venezia, due carte che su di me hanno un ascendente potentissimo, e a me non resta nient'altro da fare che andare a vedere.

Restando spiazzato.
Perché stavolta Kurzel si presenta con una storia ispirata a eventi realmente accaduti e la porta in scena realizzando un poliziesco che va a intrecciarsi perfettamente con il genere western. Infatti, l'agente dell'FBI interpretato da Law incarna l'archetipo sia dello sceriffo che del cowboy, mentre il personaggio scaltro e carismatico di Nicholas Hoult rappresenta il pericoloso fuorilegge che sta seminando il panico all'interno della comunità. Eppure, a descriverla cosi, la trama di "The Order" sembrerebbe essere stata presa e tagliata con l'accetta, perché, in effetti, la situazione è assai più intricata, complessa. E vede questa tranquillissima cittadina dell'Idaho venir colpita all'improvviso da una serie di violente rapine, con la polizia locale impreparata (e svogliata) a rispondere, non sapendo esattamente che pesci andare a prendere. A caricarsi la situazione sulle spalle, allora, ci pensa il Terry Husk di Law che è stato mandato da quelle parti per darsi una calmata - il suo passato capiremo presto è piuttosto agitato - ma non potendo farne a meno, comincia a indagare e a raccogliere indizi. E parte proprio dai volantini appesi ovunque da quest'ampia frangia di suprematisti bianchi che, delusi da un governo che non tutela i loro diritti, hanno deciso di fare squadra, riversando la loro rabbia nei confronti degli stranieri, rivendicando i soliti valori etnici, religiosi, culturali. A guidarli, un reverendo destinato presto al rimpiazzo, in favore di un discepolo che, in segreto, ha intenzione di mettere su un esercito e di scatenare una rivoluzione.

The Order Kurzel

E con queste premesse tra le mani, Kurzel sembra trasformarsi, trovarsi a proprio agio, nel suo territorio ideale. Perché in "The Order" non commette nessuno - ma neanche uno - degli errori che avevano contraddistinto la sua (trascurabile) filmografia precedente. I ritmi sono bilanciatissimi, esemplari: energici quando è l'azione a far padrona e riflessivi, o comunque, mansueti, in quelle parentesi (fondamentali) in cui è il carattere dei personaggi e loro background a dover venir fuori. Ed è proprio in questi momenti, tra l'altro, che la pellicola guadagna spessore, fascino, limitandosi a mostrare, piuttosto che lasciarsi andare a spiegoni potenzialmente noiosi, o superficiali. Appoggiandosi ai silenzi, quindi, alle espressioni, ai gesti, al corpo maltrattato di un Law che - neanche a dirlo - qui è in stato di grazia, sontuoso nel caratterizzare un personaggio per certi versi stereotipato, ma sincero, umano, ruvidissimo, eppure frangibile. Se la cava sicuramente meglio lui - una, due spanne sopra - rispetto a Hoult, che invece fa il suo, dignitosamente, pur incarnando a fatica i tratti del bello e dannato, in stile criminale alla John Dillinger.

Ma sono dettagli, perché "The Order" ha la capacità, il pregio, di prenderti e di affogarti nella mischia, facendoti sentire parte integrante dell'indagine, del pericolo. Ti corrompe con un Law incontenibile, che trova il modo (e il tempo) di strappare pure qualche risata, emozionando con un Tye Sheridan bravissimo a fargli da spalla e da allievo e con una trama stratificata che riesce addirittura a far passare in secondo piano quel filo rosso col presente che, probabilmente, doveva esercitare il motivo principale della sua realizzazione.
Insomma, gli avvenimenti accaduti a Venezia avevano un senso, e ce l'ha pure il fatto che tra me e Kurzel, da oggi, non dico che si possa azzera tutto, ma quasi.
Questa, tuttavia, è un'altra storia.
Sicuramente poco interessante.

Trailer:

Commenti

  1. Io l'ho visto a Venezia e sinceramente non mi sono accorto di tutte queste critiche, anzi... a me comunque è piaciuto: non sarà originalissimo ma per quasi due ore e mezza regge la tensione in modo impeccabile. E ha il merito di far luce su una pagina parecchio oscura di storia americana.

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