Ciò che sapevamo per certo era che “Highest 2 Lowest” fosse il remake di “Anatomia Di Un Rapimento”, il film di Akira Kurosawa – tratto a sua volta dal romanzo ”Due Colpi In Uno” di Ed McBain – a cui Spike Lee si era limitato ad apportare alcune piccole modifiche, per lo più contestuali. Il personaggio di Denzel Washington, infatti, rispetto a quello originale, qui non si occupa di scarpe, ma è un importantissimo produttore musicale. Per il resto, tutto va nello stesso modo: il suo intento, infatti, è di utilizzare un’ingente somma di denaro per rilevare le quote della sua società, salvo poi ritrovarsi a negoziare con un rapitore che vuole un riscatto abissale, in cambio della vita del figlio del suo autista, catturato per sbaglio al posto del suo.
Classico dilemma morale, insomma: pagare, non pagare?
Se davvero fosse stato preso il suo, di figlio, avrebbe pagato subito, ammette il David King di Washington, a un certo punto, ma le cose sono andate diversamente, e per quanto consideri il suo autista al pari di un fratello, i 17,5 milioni di dollari chiesti in cambio, restano comunque eccessivi. E, allora, è qui che Lee comincia a svelare le sue carte, le ragioni che lo hanno spinto a rifare, forse, o sarebbe meglio dire, modernizzare la versione realizzata da Kurosawa. Perché a causare lo switch nella testa di David (il quale ovviamente pagherà) è un dialogo con il figlio, un dialogo in cui viene a sapere della shitstorm che stanno scrivendo le maggiori testate di giornali online sul suo conto e che si starebbe consumando pure nei vari social. Per non parlare delle ripercussioni sociali-vere che vedrebbero proprio suo figlio emarginato definitivamente e la sua casa discografica – che non ha smesso di voler acquistare – boicottata (da pubblico e artisti) in pieno stile cancel culture. Un discorso che, diversamente, era stato toccato anche da Kurosawa, all'epoca, ma che qui cambia molto di peso (è enorme), visto e considerato che – come viene spesso ripetuto – è l’attenzione ormai la vera moneta.
La stortura dei tempi che cambiano e non sempre in meglio.
Una stortura che si ripercuote involontariamente (?) nella nostra persona, nelle nostre scelte, come Lee ci tiene particolarmente a mostrare in quelle scene dove Washington è isolato nelle sue stanze a riflettere, a ripercorrere il suo passato (glorioso), la sua vita, accorgendosi di non essere più quella promessa che i giornali scrivevano e che, per buona parte della sua carriera, aveva mantenuto con rigore. E non è diverso nemmeno per quanto riguarda il criminale della storia, il quale agisce grossomodo spinto – influenzato – dalla stessa corrente, quella che gli suggerisce la maniera alternativa di attirare l’attenzione, quella del va tutto bene purché se ne parli e che, quando lo trascina laddove è inevitabile che andrà a finire, con un colpo di coda cerca nuovamente un modo per monetizzare, spettacolarizzare. Non perché sia matto, ma perché è il mondo là fuori ad esserlo, a permettere ciò.
E, allora, qual è la soluzione a questa deriva?
Secondo Lee è quella di rifiutare l'offerta - per quanto ghiotta - e mettersi di traverso, opporsi. Tirarsi fuori dalla gara, in pratica. Tornando a pensare in piccolo, a fare passi lunghi quanto le nostre gambe. Riconquistando così quel focus che avevamo perduto e riaccendendo, magari, le passioni di una volta.
Tenendo a mente quel leitmotiv secondo il quale non tutti i soldi sono buoni.
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