Una Scomoda Circostanza: Caught Stealing - La Recensione

Una Scomoda Circostanza Poster

Poche ora prima di trovarmi seduto alla proiezione di “Una Scomoda Circostanza: Caught Stealing”, mi ero imbattuto in un’intervista in cui Darren Aronofsky dichiarava di aver scelto di dirigere quel film – scritto da Charlie Huston, autore anche del romanzo da cui è tratto – perché aveva voglia di leggerezza, di divertirsi. Un messaggio che apriva le porte a varie interpretazioni, ma quella che (non) mi sono dato io continuava a girare intorno a un autore che negli ultimi anni si era profondamente perso (e forse non solo nel cinema) e nei cui confronti era difficile intercettare cosa potessero significare realmente per lui due parole come leggerezza e divertimento

Due parole che, obiettivamente, nel suo cinema hanno sempre avuto poco spazio, se non trovato addirittura le porte chiuse e, infatti, sorprende vedere come, in questa occasione, Aronofsky sia riuscito non solo a trovare il modo per liberarle e farle (s)correre, ma pure entrarci in massima connessione. Senza saperlo a priori, non lo diremmo mai che dietro “Una Scomoda Circostanza: Caught Stealing” ci sia il suo zampino, perché non c’è nulla al suo interno che possa rimandare al suo stile, far pensare alla sua poetica, tranne, forse, un protagonista con tendenze autodistruttive e l’enorme magnetismo emanato da una storia che dal primo all’ultimo fotogramma è capace di catturare, senza concedere un minimo di distrazione. Volendo dare un po’ di contesto, si può dire che tutto ruoti sopra l'orbita dell’Hank di Austin Butler - barman alcolizzato, in fissa per i Giants, con un passato a dir poco traumatico - che si ritrova coinvolto in un giro di mafia e di gang (che il caso vuole chiami in causa russi e israeliani), dopo che il suo vicino – un Matt Smith conciato in maniera affatto raccomandabile – gli affida prepotentemente le cure del suo gatto, perché in partenza verso il capezzale del padre morente, a Londra. Completamente all’oscuro di ciò che sta ereditando, Hank finisce col rischiare subito la sua vita, prendendo una secchiata di botte, e poi col mettere in pericolo quella di chiunque gli stia vicino, non trovando altra soluzione che smettere di fuggire, come la sua ragazza Yvonne – un’impeccabile Zoë Kravitz – lo accusa di fare davanti ai problemi, e affrontare la situazione da uomo adulto. 

Una Scomoda Circostanza Butler

Tra gangster-movie, commedia grottesca ed action, allora, ad emergere è un ibrido che al cinema sembra quasi essere fuori tempo massimo, ricordare i film di una volta, quelli che adesso non vanno più di moda, ormai, e che al massimo vengono riscoperti tramite passaparola, programmazione televisiva o puro caso. Va controcorrente Aronofsky – come al solito e grazie al cielo – ed esattamente come aveva promesso, se ne frega degli algoritmi e delle tendenze per raccontare una storia che segue semplicemente – e con intelligenza – le logiche dei generi di cui si fa carico, una storia che quindi diverte lui tanto quanto sa divertire anche noi, al netto di una violenza, inizialmente inaspettata, dal carattere feroce, spietato, secco. Un compromesso che, tuttavia, è fondamentale per far evolvere l’intera scacchiera, allargarne il margine di movimento, la credibilità e mantenere quel ritmo frenetico e serrato che non permette allo spettatore di riprendere mai fiato nemmeno per un secondo. 

Un divertissment spiazzante, sincero, specialmente perché arriva come e da chi non te l’aspetti, e che si piazza a mani basse tra le cose più soddisfacenti viste al cinema ultimamente e tra le migliori in assoluto della filmografia del suo autore. Un Aronofsky così, più spensierato, sciolto, libero dagli schemi, in questo momento serve come il pane a noi e alla sala, per cui ben venga lui e ben vengano le mosche bianche come “Una Scomoda Circostanza: Caught Stealing”, incredibilmente dimenticate e vitali.

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