E con lui è svanita anche la possibilità di terminare il film su Carmelo Bene a cui stava lavorando.
A chiudere il set ci ha pensato il produttore Andrea Occhipinti di Lucky Red, stanco, ormai, dei continui incidenti, ritardi e manie di un regista che, forse, non è più adatto a svolgere questo mestiere, considerati i tempi (stretti) che corrono. Sta di fatto che, secondo alcune voci, Maresco ultimamente era parecchio cambiato, il suo stato mentale era diventato preoccupante, ossessivo ed Umberto Cantone, l’amico storico che ha deciso di mettersi sulle sue tracce, afferma che i racconti uditi dalle ultime persone che hanno collaborato con lui, descrivono i tratti di una personalità quasi aliena alle sue orecchie, ai suoi ricordi.
Cosa è successo, dunque?
La risposta breve a questa domanda potrebbe essere “di tutto”, ma vale la pena approfondire un po’ il discorso, relativo a un film che è di finzione, solamente perché una parte del materiale montata al suo interno è stata ripensata e “aggiustata”, affinché potesse compiersi e vedere la luce. Perché, a quanto pare, è una storia vera quella che ci viene raccontata: perlomeno nelle parti di un film fuori controllo, che crolla a picco, costringendo il progetto alla chiusura, e di un autore profondamente in crisi, ai limiti del masochismo, che decide di tagliare i ponti con il mondo intero (o quasi). Epperò, al di là del prodotto piacevolissimo che Maresco riesce a tirar fuori (come al solito, si ride di gusto e tanto), attingendo dalle macerie di ciò che rischiava d’essere ricordato come il suo più grande fiasco, bisogna ammettere che da “Un Film Fatto Per Bene” nascono degli spunti niente male che riguardano sicuramente il suo autore - fotografato nel ritratto più intimo e personale - ma pure - per dirla utilizzando un aforisma alla-Carmelo-Bene - il significato e il significante del cinema moderno. Non sarà il suo capolavoro, infatti, come le ambizioni di partenza avrebbero voluto, né tantomeno quell’opera capace di trattare la figura di Carmelo Bene da un punto di vista inedito e originale, però rimescolando queste premesse e rielaborando quegli ingredienti, Maresco riesce ugualmente a mettere in piedi una storia disperata, una storia che usa le parole, il cinismo, l'anarchia e la rabbia di Carmelo Bene per parlare del ruolo dell’arte e dell’artista, della libertà che dovrebbero avere e dei paletti (sani?) che (non) dovrebbero contenerla.
Secondo Maresco, pianificare il giorno di fine riprese senza aver ancora cominciato a girare è un’azione inconcepibile, senza senso. L’equivalente di metter dei confini a ciò che potenzialmente è raggiungibile, ma al momento sconosciuto. E chi lo conosce lo sa, insomma: lui è, per definizione, l’antitesi di tutto ciò. Della pianificazione, dell’ordine. Sarà per questo che ogni mossa, ogni scelta che lo vediamo compiere durante le riprese del suo film, sembra destinata a fallimento certo. A partire da un casting volontariamente scriteriato e da una direzione dello stesso per niente incoraggiante. Si intravedono le ombre dell'auto sabotaggio, dell'autolesionismo, di una perseveranza alla rovina che, probabilmente, se avessimo scavato nel suo subconscio avremmo stanato come obiettivo principale sin dall’inizio. La reazione istintiva verso un sistema cinematografico che, secondo Maresco, è in totale decadenza, se non addirittura al capolinea: affossato da una tecnologia che oggi permette a chiunque di “fare cinema” (e altro), a prescindere dai meriti. Ma è una guerra che non può vincere e perciò non gli resta che arrendersi e, per lui, ciò significa sequestrare alcuni dei suoi attori feticci in uno studio di posa di Palermo e umiliarli fino ad arrivare quasi a fargli chiedere pietà in ginocchio: un gesto dalle conseguenze a dir poco esilaranti, ma pure molto, molto drammatico.
Ed, in sintesi, è così che potrebbe riassumersi questo "Un Film Fatto Per Bene", che tra dramma, satira, sconforto e umorismo è lì che galleggia costantemente. Figlio legittimo di un autore che di fronte a una decina di giornalisti ha pure l'irriverenza di proclamarsi erede moderno di Carmelo Bene, facendoli scoppiare a ridere - e facendo scoppiare a ridere anche noi - come se avesse fatto una battuta estemporanea, ma invece a conti fatti, nella sua battaglia, nella sua rabbia e nella sua ribellione a questa realtà di merda, forse, una battuta quella non lo era affatto. Anzi...
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