Nino - La Recensione

Nino non ha nemmeno trent'anni e la dottoressa seduta davanti a lui gli ha appena comunicato che quel fastidio che sentiva alla gola, in realtà è il sintomo di un cancro. Parole che fanno tremare la terra sotto i suoi piedi e che a stento riesce a metabolizzare. "Quanto tempo mi resta?", chiede lui. "Sarebbe meglio parlare di aspettative di vita!", risponde lei. E in questo dialogo è racchiuso un po' tutto di ciò che succederà dopo. Con Nino che deve prepararsi a cominciare subito la chemioterapia - perché è giovane e ha la priorità - e sbrigarsi a congelare i suoi spermatozoi, perché con quel trattamento, ci sono alte probabilità di diventare sterili.

Il problema è che con questa provetta in mano Nino non sa che farci. Segue le istruzioni dell'ospedale, raggiungendo il reparto in cui dovrebbe affrettarsi a riempirla, ma l'unica cosa che gli riesce è fuggire via, perdendo (?) pure le chiavi di casa. Non riesce ad agire, Nino. E' in fase di stallo. E l'unica cosa che gli viene facile ora è vagare per le strade di Parigi, alla ricerca di qualcosa che non sa nemmeno, ma che dovrebbe servirlo a sbloccarlo, magari a rimetterlo in condizioni di riprendere in mano la sua vita. Anche se l'unico pensiero che gli passa per la testa e che lo ossessiona è ripensare alla curiosa morte del padre, caduto improvvisamente da una scala a chiocciola, per motivi sconosciuti: "Avrà avuto un malore? Mentre cadeva si sarà reso conto che stava per morire?". Sono chiaramente riflessioni e comportamenti di una persona sotto choc che, non a caso, sente il bisogno di tornare tra le braccia di sua madre, di sentirsi al sicuro, protetto. Ma lei sarà solamente la prima tappa del viaggio (esistenziale) di Nino che, quel giorno (maledetto), compie gli anni e, nonostante di festeggiare non abbia assolutamente voglia, si ritrova a presenziare addirittura a una festa a sorpresa organizzata dal suo migliore amico.

Non ce la fa a confessare che cosa lo turbi, a chi lo vede strano preferisce mentire: alla madre dice di aver bisogno di una terapia psicologica, a una sua vecchia amica racconta di una paternità inesistente. L'idea - confessa a chi gli ha organizzato quel party - è quella di fare come fa chiunque: fingere che vada tutto bene. Del resto, la maggior parte dei suoi coetanei non fa che indossare una maschera, nascondere disturbi, debolezze, nevrosi (che lui ha il privilegio di cogliere e venire a sapere). Solo che il dilemma di Nino è di carattere amletico, metaforico, se vogliamo: pensare a vivere e quindi al futuro, riempiendo finalmente quel vasetto che ha nella giacca, oppure a morire, assecondando l'assillo provocato dall'assenza di un genitore che, forse, non conosceva neppure granché? Un dramma profondo che la regista e sceneggiatrice francese Pauline Loquès affronta con grandissima tenerezza e sensibilità, riuscendo persino a sdrammatizzare, a volte, e ad alleggerire il peso di una tematica colma di zone grigie, ostica e struggente.

Ad aiutarla un attore bravissimo come Théodore Pellerin, il quale spicca per via di questo volto così particolare, in apparenza comunissimo, eppure intenso e comunicativo. I suoi incontri, i suoi sguardi e le paure con cui lo vediamo - lo percepiamo, anzi - misurarsi, abbattono la barriera dello schermo e ci arrivano addosso senza filtri, spaventando noi quanto lui e commuovendoci di fronte a un finale che sa tanto di amore, di amicizia e di speranza.

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