Belli e (im)Possibili: Free Fire - La Recensione

Immaginate se il finale de “Le Iene” fosse stato l’inizio. Se quello stallo tesissimo e dal sapore amaro non fosse arrivato a fine corsa - con gran parte della banda già fuori dai giochi o acciaccata - bensì con tutta la squadra fresca e in forze. Ecco, ora immaginate se le squadre invece fossero state due, se ci fossero state due bande di delinquenti pronti a darsele di santa ragione perché ciò che doveva essere in teoria, per una cazzata (o forse più), non è stato in pratica. E se al centro ci fosse stata non la rapina di una banca, ma una semplice compravendita di armi che nel momento cruciale diventa spontaneamente il rifornimento illimitato per uno scontro all'ultima vita.

Ci siete riusciti?
Bè comunque sia andata non fa niente, visto che a immaginare la cosa per voi, e a immaginarla bene, ci ha pensato il regista britannico, semi-sconosciuto ancora in Italia, Ben Wheatley. Ce li ha messi lui tutti questi delinquenti in un magazzino abbandonato, ci ha pensato lui ad armarli fino ai denti e sempre lui ha permesso che la malasorte facesse il suo corso, scatenando una sparatoria che, a conti fatti, tra colpi di pistola, fucili, attacchi verbali, insulti e pause, porta la durata di circa un’ora. In pratica due terzi del suo film totale - ed è probabilmente la caratteristica di maggior spicco – ambientati esclusivamente all'interno di questo luogo di scambio dal quale i vari protagonisti non riusciranno più ad uscire, prigionieri dei loro comportamenti, stili di vita e l’incapacità di alcuni di loro ad applicare buon senso e diplomazia. Gli piace raccontarli così a Wheatley i suoi (strambi) personaggi, mentre tra una battuta e l’altra e l’indice sul grilletto, provano ognuno a (non) fare il suo gioco: c’è chi cerca costantemente di mediare, chi vuole almeno far uscire di scena l’unica donna presente, chi è talmente fuori di testa che non ne vuole sapere di galateo, chi cerca vendetta e chi, infine, è preoccupato per i propri vestiti di marca o per la pettinatura curata messa a rischio.

Free Fire FilmGià, la prende ironicamente “Free Fire”, ma poi neanche tanto. C’è parecchia tensione infatti spalmata lungo la pellicola, un carosello di fuochi d’artificio dove non mancano colpi di scena, prese di posizione personali e scambi di squadra o accoppiamenti che non fanno mai capire che tipo di direzione voglia prendere il regista. Ci si colpisce ripetutamente, a volte persino cercando la sponda degli oggetti e dei muri che si hanno davanti, ci si prende alle gambe, alle spalle, così come al torace e in testa, eppure ciò non risulta mai abbastanza per morire ed uscire velocemente dalla scena. Certo si soffre, ci si accascia, magari si dà anche l’impressione che ormai non ci sia più nulla da fare, ma nella girandola di emozioni allestita da Wheatley nulla va assolutamente dato per scontato o preso sottogamba. Traditori e freelance compresi.

Così, mentre questa guerra assurda e, a tratti divertentissima, non smette di cessare, mentre la camera non sbaglia un’inquadratura narrando alla perfezione una situazione claustrofobica in cui a muoversi sono all'incirca una decina di personaggi, cominciamo a capire come mai tra i produttori esecutivi del film figuri un tale Martin Scorsese, uno che di registi e di cinema forse se ne intende più di altri e che non ha resistito, come è giusto che sia, ad una sceneggiatura che ha dalla sua molte cartucce a disposizione per affacciarsi come spiazzante, folle e degna di nota.
Uno spettacolo che difficilmente, insomma, faticherà a rimanervi impresso.

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