
Un lavoro che nella pellicola diretta da Jay Roach – per questioni di tempo, ma pure di interesse – è presente, ma in una forma profondamente mitigata, perché oscurata dalle voci e dalle paure di tre donne che da quel Capo e da quel Padrone sono state costrette per anni a subire regole, insulti e abusi. Una verità alla quale la sceneggiatura scritta da Charles Randolph arriva facendo il giro largo: partendo dalla corsa alle Presidenziali Americane del 2016, con Donald Trump fortemente appoggiato da Ailes e dal suo network, nonostante alcune dichiarazioni sessiste impugnate dalla giornalista della redazione Megyn Kelly, repentinamente rimessa al suo posto e colpita da una shitstorm privata e social. Una pagina di cronaca – vediamo i tweet originali dedicati dall'attuale Presidente degli Stati Uniti alla donna – e una pagina politica utile a entrare e analizzare, da vari angoli e da varie sfumature, quei meccanismi subdoli, di carattere psicologico, venuti a galla recentemente con l’esplosione dei movimenti femministi Me Too e Time’s Up, che per “Bombshell: La Voce Dello Scandalo” rappresentano – fino a prova contraria – l’ispirazione vera e essenziale, superando di gran lunga la questione del caso-Ailes e la misura dei suoi tentacoli (che in apertura viene ammesso di avere esplicitamente romanzato e non seguito alla lettera).

Certo, Roach si guarda bene dall'evitare di passare per quello non imparziale: dedicando qualche frame pure a quelle donne cui svendersi faceva comodo più di quanto potesse farlo il pretendere giustizia. Ma è una sponda della storia a cui “Bombshell: La Voce Dello Scandalo” dedica meno attenzione, meno cura. Una delle tante, a dire il vero, per un film che probabilmente aveva le armi per svolgere un'inchiesta migliore, e che dà la sensazione di avere avuto, nelle intenzioni, forze maggiori rispetto a quelle esibite in resa.
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