I feticci di Joe Wright si riaccorpano in massa e vengono messi al servizio di una sperimentale trasposizione cinematografica del classico di Lev Tolstoj, "Anna Karenina", lavoro che segna il ritorno del regista inglese alle opere in costume e allunga a tre (dopo "Orgoglio e Pregiudizio" e "Espiazione") le sue collaborazioni con l'attrice/chiodo fisso Keira Knightley.
Scomparso nell'anonimato a seguito degli insuccessi di "Il Solista" e "Hanna", Wright cerca di nuovo un modo per ripiazzarsi al centro dell'attenzione e lo scorge dando tocco particolare alla sua rappresentazione adattandola all'interno di un teatro di posa e acconsentendo che questo diventi partecipe avvertibile della scena. Un'esperienza di cinema fuso a teatro su cui il regista, forzatamente, punta moltissimo specie nelle battute iniziali, quando cerca di metterlo in risalto nelle sequenze di largo trasporto emotivo e durante i mutamenti scenografici incaricati di cambiare gli ambienti sia in interno che in esterno. L’esperimento si palesa presto però meno funzionale del previsto tanto è vero che – probabilmente anche per presa coscienza dello stesso Wright - viene abbandonato lungo la strada e diluito in dosi sempre maggiori, fino a passare direttamente nel dimenticatoio per essere poi ripescato solo una volta giunti al punto d'arrivo.
Fallito l’asso nella manica "Anna Karenina" crolla allora inevitabilmente su se stesso, rivelandosi privo di altri punti di forza, fiacco e dunque nient'altro che modesta rappresentazione moderna e particolare di un classico della letteratura russa e internazionale. Lasciare l’intero palco a disposizione di Keira Knightley, per Wright, si fa quindi assetto ancora più penalizzante: l’attrice non è assolutamente in grado di caricarsi un’intera pellicola sulle sue gracili spalle e lo dimostra per l’ennesima volta fornendo un interpretazione solamente accettabile, poco espressiva e priva di picchi. Il supporto e la bravura di Jude Law - nei panni di Alexei, il marito tradito da Anna - non trovano né il tempo né lo spazio per somministrare alla frana dell'opera quella fune di salvezza invocata, e Aaron Johnson, l’altro co-protagonista chiamato ad interpretare il Conte Vronsky, manca assolutamente delle carte in regola per catapultarsi utile alla causa e salvatore della patria.
Sotto queste precarie condizioni l'ambizione di Joe Wright non può altro che andarsi a schiantare prepotentemente contro la sua stessa mania di grandezza, ricordandogli di essere regista meno capace di quel che crede. Prima di buttarsi a capofitto in espedienti di questo genere bisognerebbe valutare attentamente sia i rischi che le proprie abilità e "Anna Karenina" non sembra averlo fatto, pertanto (si) sovraccarica levandosi infine solo come figlio di un'insopportabile presunzione, che seppur apprezzabile per audacia, viene pagata a caro prezzo sia dal suo ideatore che dai suoi realizzatori.
Trailer:
Scomparso nell'anonimato a seguito degli insuccessi di "Il Solista" e "Hanna", Wright cerca di nuovo un modo per ripiazzarsi al centro dell'attenzione e lo scorge dando tocco particolare alla sua rappresentazione adattandola all'interno di un teatro di posa e acconsentendo che questo diventi partecipe avvertibile della scena. Un'esperienza di cinema fuso a teatro su cui il regista, forzatamente, punta moltissimo specie nelle battute iniziali, quando cerca di metterlo in risalto nelle sequenze di largo trasporto emotivo e durante i mutamenti scenografici incaricati di cambiare gli ambienti sia in interno che in esterno. L’esperimento si palesa presto però meno funzionale del previsto tanto è vero che – probabilmente anche per presa coscienza dello stesso Wright - viene abbandonato lungo la strada e diluito in dosi sempre maggiori, fino a passare direttamente nel dimenticatoio per essere poi ripescato solo una volta giunti al punto d'arrivo.
Fallito l’asso nella manica "Anna Karenina" crolla allora inevitabilmente su se stesso, rivelandosi privo di altri punti di forza, fiacco e dunque nient'altro che modesta rappresentazione moderna e particolare di un classico della letteratura russa e internazionale. Lasciare l’intero palco a disposizione di Keira Knightley, per Wright, si fa quindi assetto ancora più penalizzante: l’attrice non è assolutamente in grado di caricarsi un’intera pellicola sulle sue gracili spalle e lo dimostra per l’ennesima volta fornendo un interpretazione solamente accettabile, poco espressiva e priva di picchi. Il supporto e la bravura di Jude Law - nei panni di Alexei, il marito tradito da Anna - non trovano né il tempo né lo spazio per somministrare alla frana dell'opera quella fune di salvezza invocata, e Aaron Johnson, l’altro co-protagonista chiamato ad interpretare il Conte Vronsky, manca assolutamente delle carte in regola per catapultarsi utile alla causa e salvatore della patria.
Sotto queste precarie condizioni l'ambizione di Joe Wright non può altro che andarsi a schiantare prepotentemente contro la sua stessa mania di grandezza, ricordandogli di essere regista meno capace di quel che crede. Prima di buttarsi a capofitto in espedienti di questo genere bisognerebbe valutare attentamente sia i rischi che le proprie abilità e "Anna Karenina" non sembra averlo fatto, pertanto (si) sovraccarica levandosi infine solo come figlio di un'insopportabile presunzione, che seppur apprezzabile per audacia, viene pagata a caro prezzo sia dal suo ideatore che dai suoi realizzatori.
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