Può sembrare un titolo provocatorio deciso da Eastwood per celebrare il ritorno alle scene e invece "Di Nuovo in Gioco" è solamente la scelta italiana per "Trouble With The Curve", letteramente “problemi con la curva", in riferimento al difetto del battitore osservato con attenzione durante la storia e annunciato nuovo talento del baseball. Ma è assoluta verità che la pellicola d’esordio del regista Robert Lorenz fa rumore innanzitutto per il ritorno alla recitazione del maestro Clint che, dopo “Gran Torino”, aveva annunciato il ritiro garantendo il suo impiego solamente nel versante registico.
Ma, al contrario, il vecchio dagli occhi di ghiaccio riparte esattamente da dove aveva lasciato, interpretando un osservatore di talenti per una società di baseball dal carattere burbero e ostile (facilmente riconducibile a quel Walt Kowalski reduce della guerra di Corea), alle prese con la perdita incombente della vista e con un giovane esperto di computer che non vede l’ora di mandarlo in pensione per rubargli il posto.
Ricorda una variante più modesta dello splendido “L’Arte di Vincere” la pellicola di Lorenz: si parla di talenti da scovare, di tecnologie all'avanguardia per farlo e dei vecchi metodi da lasciarsi alle spalle. Questo in apparenza almeno. Perché la sceneggiatura scritta da Randy Brown poi si amplia e va ad accentrarsi sul rapporto padre-figlia-interrotto tra Gus – il personaggio di Eastwood – e Mickey, la figlia-avvocato interpretata dalla bravissima Amy Adams. Ecco che allora il cuore effettivo del racconto viene a formarsi, amplificato come se non bastasse dall'entrata di Justin Timberlake, anche lui osservatore di talenti e aspirante cronista dei Red Sox.
Molta carne al fuoco, dunque, e all’ordine del giorno le possibilità di scivolare nella retorica e nelle trappole che trame di questo tipo spesso non riescono ad evitare. Eppure non è quel che accade a Robert Lorenz, il quale con sorprendente destrezza invece evita qualsiasi tipo di caduta fattibile e immaginabile, portando avanti il suo compitino alla perfezione e riuscendo anche a conferirgli quella dose di piacevolezza che fa sempre comodo se si vuole conquistare lo spettatore.
Il fragoroso ritorno di Eastwood perciò si svela assai meno memorabile di quello che ci si poteva attendere, ciò nonostante funge da potentissimo catalizzatore per la sponsorizzazione di una onestissima opera prima che andrebbe apprezzata in gran parte per l’alchimia dei suoi protagonisti e per la competenza registica e di scrittura mostrata dai suoi rispettivi artefici.
Ma, al contrario, il vecchio dagli occhi di ghiaccio riparte esattamente da dove aveva lasciato, interpretando un osservatore di talenti per una società di baseball dal carattere burbero e ostile (facilmente riconducibile a quel Walt Kowalski reduce della guerra di Corea), alle prese con la perdita incombente della vista e con un giovane esperto di computer che non vede l’ora di mandarlo in pensione per rubargli il posto.
Ricorda una variante più modesta dello splendido “L’Arte di Vincere” la pellicola di Lorenz: si parla di talenti da scovare, di tecnologie all'avanguardia per farlo e dei vecchi metodi da lasciarsi alle spalle. Questo in apparenza almeno. Perché la sceneggiatura scritta da Randy Brown poi si amplia e va ad accentrarsi sul rapporto padre-figlia-interrotto tra Gus – il personaggio di Eastwood – e Mickey, la figlia-avvocato interpretata dalla bravissima Amy Adams. Ecco che allora il cuore effettivo del racconto viene a formarsi, amplificato come se non bastasse dall'entrata di Justin Timberlake, anche lui osservatore di talenti e aspirante cronista dei Red Sox.
Molta carne al fuoco, dunque, e all’ordine del giorno le possibilità di scivolare nella retorica e nelle trappole che trame di questo tipo spesso non riescono ad evitare. Eppure non è quel che accade a Robert Lorenz, il quale con sorprendente destrezza invece evita qualsiasi tipo di caduta fattibile e immaginabile, portando avanti il suo compitino alla perfezione e riuscendo anche a conferirgli quella dose di piacevolezza che fa sempre comodo se si vuole conquistare lo spettatore.
Il fragoroso ritorno di Eastwood perciò si svela assai meno memorabile di quello che ci si poteva attendere, ciò nonostante funge da potentissimo catalizzatore per la sponsorizzazione di una onestissima opera prima che andrebbe apprezzata in gran parte per l’alchimia dei suoi protagonisti e per la competenza registica e di scrittura mostrata dai suoi rispettivi artefici.
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