The Impossible - La Recensione


Il 26 dicembre 2004 uno Tsunami, considerato successivamente il più mortale mai visto, colpì le coste del Sud-Est Asiatico provocando migliaia di morti e feriti. Il regista Juan Antonio Bayona e lo sceneggiatore Sergio Gutiérrez Sánchez hanno voluto raccontare la storia di una delle famiglie rimaste coinvolte dal quel disastro.

Ecco arrivare allora "The Impossible", una storia vera, che ribadisce per ben due volte in apertura la sua attinenza alla realtà, quasi a voler scansare ogni minimo dubbio sulle possibilità di aver romanzato gli eventi che andrà a riferire. Pur essendo una produzione prettamente spagnola la pellicola è recitata in lingua inglese e segue le vicende di una famiglia americana, trapiantata in Giappone, in viaggio in Thailandia durante le vacanze di Natale. Per una buona parte Bayona si concede perciò ad esporre solamente il set-up di questa comune famiglia, felice e con tre bambini, che pensa al futuro e ai normali progetti da mettere in cantiere. Questo gli serve per accentuare ulteriormente l’imminente, imprevedibile fatalità che travolge senza pietà e preavviso qualunque speranza, proposito o forma di allegria trovi lungo la strada.

"The Impossible" allora si rivela per quel che è in tutta la sua natura e cioè un disaster-movie munito di un’unica sequenza agghiacciante, realizzata e montata in maniera straordinaria e che vede al centro una Naomi Watts intensa e disperata mentre cerca di ricongiungersi ad un figlio - unico apparentemente rimasto di una famiglia disunita – riemerso al di là della sua sponda. Ma Bayona non si risparmia, e mostra gli effetti della catastrofe senza oscurare le immagini dei corpi sbattuti, lacerati, infranti, da una corrente incontrollabile che spinge le vittime intrappolate in un acqua piena di detriti taglienti che infilzano esseri umani come lame invisibili. In queste sequenze, ci sono gli unici effetti speciali di un lavoro che inevitabilmente poi si lascia andare a risvolti drammatici, spostando l'occhio su superstiti e su famiglie dalle vite dilaniate e distrutte.

E' lo sfogo di una seconda parte, emotivamente parlando, meno documentaristica e più cinematografica dove, se vogliamo, "The Impossible" perde un tantino di spessore accarezzando un cenno di retorica e tradendo, in alcuni aspetti, la premessa fatta in apertura sulla documentazione genuina degli eventi. Bayona costruisce momenti dolci, struggenti, amari e incantevoli e per farlo è costretto a usare (abusandone?) nel miglior modo possibile lo strumento cinema che ha dalla sua parte, ciò significa forzare la mano su dialoghi e su circostanze, che difficilmente si fanno credere autentiche o accadute al millimetro anche nella realtà. Una furbizia che la sua pellicola in ogni caso paga ma parzialmente, in gran parte su un finale costruito in maniera meccanica per ricoprire al meglio il ruolo di strappalacrime, sgrovigliato perciò con abbondante artificio e quella puntina di riguardo che, pur facendolo fallire nei suoi intenti drammatici, ne limita comunque il fastidio di non spontaneità.

L'accoppiata Bayona-Gutierrez Sanchez aveva stupito qualche anno fa con il primo, ottimo, esordio legato a "The Orphanage". Con "The Impossible", conferma la sua bravura nel saper terrorizzare il pubblico ma non riesce a tenere salda e in piedi una pellicola che per una buona prima parte simulava addirittura l'ambizione a vette piuttosto alte. Il suo ridimensionarsi, non le impedisce di rimanere tra le opere migliori viste quest'anno ma indubbiamente la priva nel raggiungimento di un obiettivo che poteva senz'altro essere più elevato e memorabile.

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