C'era Una Volta a New York - La Recensione

Sogni infranti e redenzione. Punti cardine sui quali "C'era Una Volta a New York" cuce parte della sua struttura narrativa, annacquata in crescendo dal triangolo amoroso accentratore del conflitto che lega inseparabilmente - senza alcuno scampo - le vite dei protagonisti interpretati da Marion Cotillard, Joaquin Phoenix e Jeremy Renner.

La storia ruota attorno all'immigrata polacca Ewa, bloccata ad Ellis Island dov'è appena sbarcata alla ricerca di fortuna insieme alla sorella Magda, malata di tubercolosi. Inaspettatamente trasferita nella coda per le espulsioni, Ewa viene avvicinata da Bruno, un uomo apparentemente per bene che l’aiuta ad entrare in America garantendogli un lavoro retribuito che possa fargli guadagnare i soldi necessari per curare la malattia della sorella, messa in quarantena. Per farlo però Bruno costringerà lentamente Ewa a prostituirsi, inserendola nel giro delle sue ragazze e facendo leva sul suo grande amore verso Magda.

L'ultima fatica di James Gray è una vite che gira a vuoto non appena incastrata la punta: distrugge il sogno americano e sussurra la sacra perdita del valore e del concetto di famiglia, anche se quello in cui riesce meglio è nel collezionare un buco nell'acqua segnando il vertice più basso nella carriera del suo regista. Questa volta Gray non riesce infatti a inquadrare lo stomaco dei suoi spettatori e a colpirlo con la grintosa forza tipica del suo cinema, anzi, peggio ancora non riesce a mettere a segno neppure un leggero pizzichino, forse per via di una sceneggiatura che cerca di mettere troppa carne al fuoco, distogliendo dalle dinamiche più illuminanti e primeggiando le relazioni tra i personaggi non proprio scritti con il massimo della lucidità.

Tecnicamente apprezzabile per scenografia e costumi d'epoca (siamo nel 1921), e sottile nel segnalare quanto la felicità sia in realtà reperibile ovunque e non necessariamente da ricercare in un paese dai mille volti come l'America, dove anzi è più facile smarrirsi che ritrovarsi, "C'era Una Volta a New York" trova le basi per posizionare le sue mura più solide proprio nel punto apparentemente suo più debole: il personaggio di Ewa, interpretato da una sventurata e intensa Marion Cotillard. L’attrice francese risplende di luce propria ogni volta che la troviamo sola e abbandonata, lascia che sia il suo viso scarno a far fiorire le emozioni, e ad ogni occasione ruba facilmente il proscenio ai colleghi facendolo totalmente suo. E’ la sola a godere di un trattamento più accentuato e definito sul ruolo, cattura dolcemente per capacità interpretative e spessore, soffrendo un pochino l'ombra ogni volta che la lotta dichiarata tra i due cugini, Joaquin Phoenix e Jeremy Renner, la costringe a dividere (e a dividersi) la scena.

Con un'altro racconto amaro, a tratti persino angosciante, privo di un vero e proprio lieto fine, James Gray, nonostante la sua scarsa forma, non eclissa l’indole che lo contraddistingue e non rinuncia a mostrare ancora quanto sia prevalentemente autore condensato a trattare dolori ed espiazioni. "C'era Una Volta a New York" pur non essendo degno del suo nome non fa altro che ribadire un istinto, una attitudine, che anche in momenti d’opacità totale non smette mai di rimarcare la sua esistenza.

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