C'è uno strano rapporto tra i romanzi di Stephen King e le loro trasposizioni cinematografiche. Un flirt continuo, infinito, che puntualmente promette realizzazioni all'altezza - o superiori - dell'esperienza avuta su carta stampata, ma che poi - slogan a parte sui trailer e sui cartelloni - risultano sempre inferiori, deludenti, sbagliate (tolte, ovviamente, alcune mosche bianche che non serve stare qui a ripetere).
Una maledizione - restando in tema di brividi - che non ha risparmiato nemmeno Mike Flanagan e il suo tentativo di portare sul grande schermo il racconto breve, dal titolo "The Life Of Chuck", contenuto nella raccolta "Se Scorre Il Sangue" pubblicata dallo scrittore nel 2020. Un'operazione alla quale non si può dir nulla in termini di fedeltà con l'opera originale, ma alla quale forse - e qui torna in ballo il solito tema - avrebbe giovato un minimo di tradimento e di approfondimento. Perché qualcosa di interessante, misterioso e intrigante, nella storia (esistenziale) di questo Chuck, è presente, eccome, il problema sta nel non fare in modo che diventi mai un vero punto di riferimento. Flanagan - magari per esplorare qualcosa di inedito e togliersi di dosso l'etichetta indelebile di regista horror - cerca di dare al film dei toni diversi, mutevoli, spaziando e riuscendo - positivamente, a tratti - ad ampliarne il respiro e a restituire quel senso vitale di vita vissuta e di crescita. A remargli contro, però, è la quantità di elementi sui quali può fare affidamento - e sono pochi, onestamente - e una complessità che non appena perde di vista gli interrogativi seminati - o, peggio ancora, fa in modo che lo spettatore arrivi in anticipo a darsi le risposte - assume dei tratti talmente semplici e banali da apparire quasi esclusivamente un mero esercizio di stile.
E per esercizio di stile, si intende l'allestimento di una scena - gradevolissima, è, sia chiaro - in cui Tom Hiddleston improvvisa un balletto in strada, rapito dai beat di una batterista accampata li a racimolare qualche libera offerta. Circostanza riproposta poco più avanti, con il flashback di un Chuck pre-adolescente che sta imparando i primi passi da ballerino, prendendo lezioni casalinghe da sua nonna: lezioni che poi torneranno utili a scuola per conquistare la ragazzina che diventerà sua moglie. Ma sono momenti che, in teoria, dovrebbero servire ad arricchire una sceneggiatura, non diventarne colonne portanti, dovrebbero aiutare ad alleggerire la tensione, a dilatare il ritmo, non sostituirsi alla struttura di una trama che, invece, così stenta ad avere solidità, scricchiolando di continuo. E più si va avanti, più si intuisce che è tutto li, che non ci sarà spazio per nessun stravolgimento e che in fin dei conti "The Life Of Chuck" non è nient'altro che uno di quei lavori di King etichettabili come minori: risultato fisiologico quando si hanno in bacheca miriadi di pubblicazioni.
La sensazione, tuttavia, è che un modo per ottimizzare la resa della pellicola Flanagan poteva trovarlo lo stesso, se avesse voluto. E la chiave poteva ruotare proprio attorno alla misteriosa porta di cui, probabilmente, si parla troppo poco. Una porta agghiacciante, della quale viene svelato l'arcano solamente alla fine. E, non a caso, quello è l'unico istante in cui davvero ci vengono i brividi e la pelle d'oca sale.
Trailer:
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