Michael Bay non si smentisce mai, il suo modo di fare cinema è sempre lo stesso, che ci sia di mezzo la fantascienza o un fatto di cronaca vera, che debba avere a che fare con robot o con culturisti imbranati. "Pain & Gain: Muscoli e Denaro" segna la pausa del regista dai Transformers, è il ritorno a una sceneggiatura (ispirata all'articolo del giornalista investigativo Pitt Collins e adattata per lo schermo da Stephen McFeely e Christopher Markus) su cui voleva lavorare da moltissimo tempo, nonché la riprova che per il regista la sostanza è assai meno importante della forma.
Cambia quindi il contesto ma non la situazione, la ricerca della svolta non tocca più al bravo ragazzo sfigato impersonato da Shia LaBeouf ma ad un trio di idioti completi composto da Mark Wahlberg, Dwayne Johnson e Anthony Mackie: tre palloni gonfiati con problemi personali, debolezze evidenti e maschera da vincenti, che per risolvere ogni problema, andare incontro alla perfezione e inseguire il sogno americano attuano il rapimento di un uomo ricco attraverso un piano considerabile perfetto solo da chi crede che guardare film sui gangster come "Il Padrino" o "Scarface" sia la scuola migliore per diventare un criminale. Bay incornicia le loro folli gesta con la tipica regia dinamica e frizzante, sulla quale posa una fotografia satura e patinata - suo marchio di fabbrica - per raggiungere quell'estetica leccatissima, attenta alle perfezioni così come alle imperfezioni, anch'esse studiate al millimetro. La storia grottesca - a quanto pare vera però - del personal trainer Daniel Lugo diventa quindi pretesto per incanalare un attacco alla società americana, trascendere il patriottismo e alterare i messaggi del sogno fino a farne vera e propria nemesi che suggerisce l'impossibilità di raggiungere il successo senza una naturale inclinazione a sporcarsi le mani.
Ma Bay, si sa, è un provocatore, a lui piace stuzzicare ed essere additato, non è disposto a rivedere le sue concezioni e il far storcere il naso ad alcuni lo porta spesso a sogghignare e a rafforzare determinati ideali ripresentandoli poi più spudorati di quanto non avesse fatto prima. Un esempio calzante potrebbe essere l’impiego riservato alle donne nei suoi film: se Megan Fox e Rosie Huntington-Whiteley in "Transformers" infatti erano le classiche pupe da copertina conciate come spogliarelliste solo per mettere in moto la fantasia dello spettatore, quelle frequentate dalla banda petto e bicipiti in questione sono spudoratamente unica materia sessuale, perennemente svestite - in palestra, a lavoro e in casa - e rilegate a ruoli di porta chiavi per il puro piacere del sesso forte, specie dominante.
Ma osannati i vezzi, e sottolineato che "Pain & Gain: Muscoli e Denaro" è senz'altro il film più personale firmato da Bay - in cui la sua ossessione per la perfezione è esplicitata in innumerevoli occasioni - resta da dire che la mancanza di applicazione rilevata nei confronti della trama - volontaria o meno che sia - infanga non solo l'intero buono mostrato in generale ma va a restringere il valore di un'opera che gli elementi per proclamarsi cult di genere li aveva tutti dentro la tasca. Per dirla alla palestrato, si doveva esagerare meno con i tempi di recupero e cercare di rendere la vena umoristica dark più vivace, in quel caso la lucentezza della pellicola ne avrebbe giovato e si sarebbe scrollata di dosso quell'opacità che adesso è visibile come una nitida imperfezione.
Pertanto, affaticamento da robot o meno, a Bay farebbe bene un allenamento intensivo meno muscoli e più cervello, la disintossicazione da Hasbro ha portato i suoi frutti - la maggior parte positivi - il problema è che per iniziare a intravedere un miglioramento netto ci sarebbe ancora da lavorare a fondo.
E il paziente, a quanto pare, è talmente indisciplinato da aver già fornito cenni rilevanti d’imminente ricaduta.
Ma osannati i vezzi, e sottolineato che "Pain & Gain: Muscoli e Denaro" è senz'altro il film più personale firmato da Bay - in cui la sua ossessione per la perfezione è esplicitata in innumerevoli occasioni - resta da dire che la mancanza di applicazione rilevata nei confronti della trama - volontaria o meno che sia - infanga non solo l'intero buono mostrato in generale ma va a restringere il valore di un'opera che gli elementi per proclamarsi cult di genere li aveva tutti dentro la tasca. Per dirla alla palestrato, si doveva esagerare meno con i tempi di recupero e cercare di rendere la vena umoristica dark più vivace, in quel caso la lucentezza della pellicola ne avrebbe giovato e si sarebbe scrollata di dosso quell'opacità che adesso è visibile come una nitida imperfezione.
Pertanto, affaticamento da robot o meno, a Bay farebbe bene un allenamento intensivo meno muscoli e più cervello, la disintossicazione da Hasbro ha portato i suoi frutti - la maggior parte positivi - il problema è che per iniziare a intravedere un miglioramento netto ci sarebbe ancora da lavorare a fondo.
E il paziente, a quanto pare, è talmente indisciplinato da aver già fornito cenni rilevanti d’imminente ricaduta.
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