O Agente Segreto - La Recensione

È l'estate del 1977, nei cinema "Lo Squalo" terrorizza gli spettatori e "Omen: Il Presagio" li mette in guardia, raffigurando un male invisibile che può celarsi sotto ogni aspetto. In Brasile è l'anno dei "dispetti", o perlomeno è così che lo definisce "O Agente Segreto" nei suoi titoli di testa, ironizzando sulla dittatura militare in corso e sulle corruzioni a tappeto e le persecuzione di alcuni civili - guai a chiamarli rifugiati - che da quel momento in poi cominceremo a seguire attraverso la storia di Marcelo: ricercatore universitario costretto alla fuga, sotto il falso nome di Armando, per essersi messo contro un ricco facoltoso (prepotente) a cui non è andato giù il modo in cui lui e la sua compagna - defunta - si sono ribellati ai "piani di restyling", coi quali voleva appropriarsi dei fondi economici, dedicati ai progetti (innovativi) del loro istituto.

Ma a dispetto - tanto per restare in tema - del titolo, il film di Kleber Mendonça Filho non è una storia alla 007, perché il Marcelo di Wagner Moura, per quanto sia sveglio e scaltro, è realmente un semplice ingegnere il cui reato è stato solo quello di aver pestato i piedi alla persona sbagliata. Non è armato, non saprebbe come difendersi in un corpo a corpo, né tantomeno è consapevole di cosa voglia dire infiltrarsi e fingersi qualcuno altro. L'unica cosa che sa, e che capisce, quando gli viene spiegata la situazione da chi sta proteggendo lui e quelli come lui, è che deve mantenere un profilo basso. Perlomeno fino a quando i passaporti falsi che stanno preparando per lui e per suo figlio non saranno pronti e gli permetteranno di lasciare il paese. Perché è questa la prospettiva di chi, come lui, si è messo contro il Regime, sebbene le speranze dei padri e degli anziani siano quelle che figli e nipoti possano vivere, un giorno, in un paese migliore, ideale. Nulla a che vedere, insomma, con quello che Mendonça Filho ci mostra fin dalla prima - e splendida - scena: in cui un cadavere lasciato in bella vista, davanti a una pompa di benzina, viene ignorato liberamente da due agenti di polizia che preferiscono perquisire il maggiolino giallo di Marcelo, nella speranza di trovare un pretesto qualsiasi per estorcergli del denaro.

O Agente Segreto Film

Da lì in poi la narrazione andrà avanti per capitoli - seguendo una struttura abbastanza tarantiniana, soprattutto per come decide di utilizzare la musica, diffondendola dalla radio dell'auto - con Marcelo in viaggio verso Recife e i due sicari assoldati per farlo fuori che si mettono sulle sue tracce. Un appiglio a cui "O Agente Segreto" sostanzialmente si aggrappa per raccontare una delle pagine più buie della storia brasiliana, una di quelle che ancora oggi, come vediamo nei salti temporali al presente, è e resta in fase di indagini e di studio, viste le atrocità commesse e seppellite e le profonde ferite lasciate nella popolazione, per nulla rimarginate. La classe di Mendonça Filho, però, sta nel riuscire a mitigare la gravità politica della sua opera con una maestosa capacità di fare cinema, di costruire tensione, affetto per i personaggi (positivi, per le vittime), serrando i ritmi quando lo richiede il contesto e alleggerendo i toni non appena gli è consentito, proprio come un espertissimo direttore d'orchestra (permettendosi anche di giocare con incursioni tra il grottesco, l'horror e il surreale). 

Tant'è che le due ore e quaranta della sua pellicola volano letteralmente, prendendoci per mano e accompagnandoci in questo viaggio intensissimo che riesce ad essere insieme appassionante, doloroso e malinconico. Sostenuto dalla grandezza di una storia che punta a prenotare un posto nella nostra memoria e da un fascino visivo capace di renderla travolgente e accattivante.

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