“Si Alza il Vento” è forse il lavoro più complicato che Hayao Miyazaki abbia mai compiuto.
E’ complicato perché, in parte almeno, è una storia vera (quella dell’ingegnere di aeroplani Jirò Horikoshi), è complicato perché percorre molti anni della vita del protagonista (da bambino fino all'età adulta) e, soprattutto, è complicato perché percorre anche gran parte della storia del Giappone (fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale), dando per scontato la comprensione di avvenimenti di cui non proprio tutti sono al corrente.
E’ complicato perché, in parte almeno, è una storia vera (quella dell’ingegnere di aeroplani Jirò Horikoshi), è complicato perché percorre molti anni della vita del protagonista (da bambino fino all'età adulta) e, soprattutto, è complicato perché percorre anche gran parte della storia del Giappone (fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale), dando per scontato la comprensione di avvenimenti di cui non proprio tutti sono al corrente.
Oscilla tra sogno e amore l’ultima fatica di Miyazaki, il suo protagonista vorrebbe a tutti i costi diventare pilota di aeroplani, immagina di parlare spesso con l’ingegnere italiano Gianni Caproni, gli chiede consigli, ma essendo miope sa benissimo che non potrà nemmeno mai volare. Il problema agli occhi però non gli impedisce di perseguire il suo sogno da lati alternativi, di diventare ingegnere di aeroplani, di costruire ciò che da lui è considerato uno strumento magnifico e fantastico, diventando uno dei migliori aeronautici del mondo nel suo mestiere e trovando l’amore nell'unione con la giovane e malata di tubercolosi Nahoko.
Ha pretese altissime “Si Alza il Vento”, vuole operare come fosse un prodotto live-action pur presentandosi come un normale film d’animazione. Si rende di difficile fruizione, pretende che lo spettatore porti con sé un infarinatura generale delle epoche scandite e vuole miscelare la sua anima biografica, con la Storia e il romanticismo delle più grandi storie d’amore. Probabilmente è in queste sovrabbondanti volontà che Miyazaki finisce per perdersi senza forse quasi mai (ri)trovarsi: punta ad un pubblico maturo e scansa completamente quello più piccolo, manda spesso avvertimenti di improvvisazioni di una sceneggiatura mal miscelata e, forse, non del tutto compiuta.
Si fatica allora a stargli dietro, ed è una fatica sia fisica che contenutistica. Seguire il passo di decenni di storia Giapponese privi di suggerimenti e con piccoli dettagli che si succedono velocemente, in scene brevissime, fa perdere il filo del racconto, un filo che in nessun modo, in seguito, ci sarà modo di recuperare per tappare i buchi. L’unico marchio di fabbrica che il regista decide di mantenere allora è quello connesso allo stile d'animazione e alle musiche (bellissime), cambiando totalmente il resto e spiazzando tutti con una scelta fuori riga, molto, molto limitata all'infuori del paese d’origine (ma forse anche all'indentro).
Affermato ciò, dire che Miyazaki abbia compiuto un buco nell'acqua, magari, sarebbe troppo cattivo e disonesto. Meno cattivo sarebbe imputargli comunque la colpa di aver realizzato una pellicola disorientante, troppo articolata, che non riesce a far funzionare al meglio nemmeno la parte dedicata alla drammatica storia d’amore.
Ecco, insomma: buco nell'acqua no, ma capolavoro men che meno.
Trailer:
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