Il regista Jean-Marc Vallée infatti si serve dell’anima e dello spirito combattivo dell’elettricista e cowboy, spiantato e rozzo Ron Woodroof per imprimere nello spettatore la potenza straordinaria che risiede nel concetto semplice quanto chiaro di documentarsi sempre, arrendersi mai, diffondendo l’esempio di chi, non volendo accettare una condizione irreversibile, è riuscito a scovare il business nascosto dietro una malattia ancora poco conosciuta e a sconfiggerlo con le proprie forze trovando addirittura il modo di sostituirsi al giudizio di medici più esperti nonché al sistema stesso. Collocato nella metà degli anni ottanta, “Dallas Buyers Club” assume così le fattezze di una vera e propria odissea, di una lotta contro i propri demoni interni che sfoga e migra all’esterno affrontando poi dei demoni ancor peggiori, il tutto in un grido di dolore che rivendica il diritto alla vita e il coraggio di difenderlo ad ogni costo, non gettando mai la spugna a prescindere dalle fattezze del nemico da sconfiggere.
A sostenere il notevole peso di questo cammino e di questo sforzo, un Matthew McConaughey straordinario rivitalizzato da una seconda carriera d'attore e che, in maniera incredibilmente camaleontica, per l’occasione viene sollevato del suo fascino e deperito dei suoi muscoli, entrando in punta di piedi ma con decisione in un personaggio complesso e stratificato che muta fisicamente e mentalmente nel corso del suo tragitto e a cui riesce a trasferire contemporaneamente senso di realtà misto a finzione cinematografica.
Sempre attento a non cadere in retoriche inutili o svantaggiose, con l'esplosività registica e l'apporto di interpreti di buonissimo livello, Vallée realizza dunque senza la minima buca una fantastica tesi su come un uomo considerato un nessuno e residuo della società è stato capace, da solo, di infastidire un sistema corrotto, remandogli contro senza sosta al punto da riuscire addirittura a craccarlo difeso della spinta della sua volontà, intelligenza e forza degli argomenti.
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