Grand Budapest Hotel - La Recensione

L'assenza di Roman Coppola o del Noah Baumbach di turno è palpabile in "Grand Budapest Hotel". Wes Anderson stavolta cura la sceneggiatura senza l'aiuto di altre mani amiche, rispetta sé stesso ma non sopperisce ad un secondo sguardo capace magari di limare o equilibrare ciò che i suoi due occhi non sono in grado di notare.

Romanticismo, ironia, inquadrature geometriche colori infiniti, che sia una pellicola wesandersoniana "Grand Budapest Hotel" nessuno può metterlo in dubbio, il regista ha raggiunto ormai una piena consapevolezza del cinema che ama esprimere e ancor più di se stesso, tuttavia, guardando un passo indietro e rispolverando forse il suo capolavoro, ovvero "Moonrise Kingdom", è forte il contrasto che passa tra un lavoro curato fino ai dettagli ed un'altro che invece non convince mai fino in fondo.
E' un racconto che esalta la bellezza del racconto questa ultima fatica, ma, al di là di un incipit divertente e affascinante, pare andare a soffrire velocemente di un affanno assai considerevole, conseguenza pensiamo della fatica di chi non è abituato a gestire come singola persona l'intera forza lavoro di una scrittura apparentemente ciclica ma mai uguale dei suoi lavori. "Grand Budapest Hotel" allora, consciamente o meno, si limita a colpire più per la sua magnificenza visiva, per le sue inquadrature e movimenti di camera meravigliosi, deludendo abbastanza sotto quell'aspetto emozionale e pulsante, teoricamente punto di forza del suo regista.

La poetica di Wes Anderson però continua a muoversi e a crescere, matura se vogliamo, si vede pronta ad assumere delle responsabilità che prima rifiutava di prendersi o addirittura rinnegava. Ci sono dei cattivi infatti in questa ultima uscita, ce ne sono due, e uno di loro è persino spietato ed efferato (un grande Willem Dafoe), c'è l'oscurità del thriller da risolvere che fa il paio con la commedia e c'è il personaggio innocente e buono fino all'osso interpretato da Ralph Fiennes che compensa il male con una bontà di fondo, trasmissibile e dolce.

Procede testarda quindi la rincorsa ai sentimenti e alla giustizia, così come la conferma di alcuni capisaldi da proteggere ed incoraggiare al pubblico, eppure tutto sembra proposto in maniera meno carica ed efficace del solito. La seduzione proposta dall'ambientazione di inizio novecento e da un cast enorme e lunghissimo (composto soprattutto da partecipazioni di amici) non toglie "Grand Budapest Hotel" dalla griglia di una brace sulla quale mai ci aspettavamo di vederlo finire. Le premesse dopo il recente Oscar alla sceneggiatura evidentemente erano molto alte ma la mancanza di colleghi fidati in fase di concepimento è stata, secondo chi scrive, la falla maggiore.

Trailer:

Commenti