Sils Maria - La Recensione

Stavolta Olivier Assayas la prende larga, larghissima per arrivare al punto. Compie un giro talmente lungo da far chiedere ai suoi passeggeri, durante le numerose tappe, quale sia la vera destinazione del viaggio, ed è una domanda alla quale lui non risponde mai e con la quale, in più di un occasione, ci fa sentire ostaggi della sua volontà.

Per carità non è il caso di farne una tragedia, "Sils Maria" non è affatto una pellicola traumatizzante o torturatoria, ma più che altro un lento procedere verso un punto vicino ma al quale tardiamo ad arrivare per colpa della paura: una paura travestita, a turno, da verità e superstizione. Ci racconta un mondo che conosce bene Assayas, quello della recitazione e compagnia, il canale è l'attrice Maria Enders, una stella che nei suoi lunghi anni di carriera ha imparato ad essere riconosciuta e premiata e alla quale viene proposto, in concomitanza con la morte dello scrittore e vecchio regista, di interpretare la parte della donna matura nella piéce che l'ha lanciata da giovane, quando però gli era stato assegnato un'altro ruolo, quello della ragazza. La sua reazione è la stessa di chi non ha la minima intenzione di andare a toccare l'incantesimo che tanto di positivo ha portato nella sua vita. Eppure, dall'altra parte, c'è la seconda volontà, altrettanto forte, di misurarsi con un ruolo subito prima solo passivamente, adesso incline al suo status e utile, forse, a mettere a posto quel disordine ben celato che porta sulle spalle.

Principalmente allora "Sils Maria" ci trascina nel privato di un'attrice spaventata e confusa, alle prese con un ruolo che si mischia benissimo alla sua esistenza reale. La fa scavare nei dubbi, nei (pre)giudizi, Assayas, senza negarci neppure, ovviamente, i momenti in cui a far da padrone è la preparazione al personaggio e l'incontro/scontro con la personalità che lo rappresenta. Peccato però che il lavoro psicologico imbastito dal regista francese si perda troppo nella verbosità di dialoghi insistenti, in contrasti prolungati e in punti di vista dove sbattono puntualmente generazioni distanti come quelle di Juliette Binoche e della sua assistente Kristen Stuart. La psicologia analizzata, nella sua giustezza, viene sempre annacquata e mai presa di petto, comportamento che anziché fare immergere nella pellicola ha l'effetto negativo di spingere fuori, distraendo e, in certi momenti, addirittura annoiando, per via di una perdita di tempo che tra l'altro non fornisce mai riferimenti orientativi.

Le scosse di risveglio, dunque, giungono solo quando, finalmente, il personaggio di Chloë Grace Moretz - ovvero colei chiamata ad interpretare nella piéce il ruolo della Binoche da giovane - comincia a far capolino e a definirsi, mostrandosi come la Miley Cirus di turno, tutta successo e sregolatezza. Oltre ad analizzare il rapporto tra vecchiaia e gioventù infatti, Assayas non si lascia sfuggire l'opportunità di poter fare una riflessione parallela rispetto al cinema e alle sue stelle: com'era una volta e come è cambiato. I suoi acuti sono senza ombra di dubbio spiccati, condivisibili e divertenti, ma poco utili ad una messa in scena che continua a procedere a vista, a riempirsi di tematiche e a trasmettere una sensazione di smarrimento mista a vuoto.

Invece una meta da raggiungere "Sils Maria" - come dicevamo in apertura - ce l'ha eccome, ed è concentrata interamente sul personaggio della Binoche, impaurito e ostinato a respingere e a non riconoscere la modernità e la sua affermazione. C'è un grande, bellissimo, combattimento interno sulla difficoltà a passare lo scettro, nel giro compiuto da Assayas, ma la velocità con cui vuole esprimerlo tuttavia è insostenibile, ai limiti della sopportazione. Tanto da rendere il suo lavoro più pesante di quanto non sia rilevante.

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