L'esordio alla regia dello sceneggiatore Hossein Amini passa per il romanzo di Patricia Highsmith intitolato "I Due Volti di Gennaio".
Scritto nove anni dopo "Il Talento Di Mr. Ripley" - opera più celebre della Highsmith - quella di cui Amini si fa carico è sicuramente una storia che mira a mantenere dei fortissimi punti di contatto con quella portata al cinema circa quindici anni fa da Anthony Minghella, a cominciare dall'attrazione di un aspirante truffatore verso un'altro più maturo e già compiuto.
Nella fuga da Atene per sospettato omicidio dei coniugi Viggo Mortensen e Kirsten Dunst, sostenuta dalla guida turistica furba e tuttofare di Oscar Isaac, esiste infatti un'ammirazione di fondo tra chi, nella sua vita, per vivere, sta provando a farsi furbo e chi invece c'è riuscito perfettamente diventando esageratamente ricco a spese degli altri. Così, il piccolo incidente di percorso che va ad unire i due uomini in una convivenza lunga e scomodissima, seppur truccato e venduto ripetutamente da triangolo amoroso ruotato attorno all'unico personaggio femminile, assume, in realtà, le vesti di una lotta silenziosa in cui il Re della foresta cerca in tutti i modi di non perdere la sua corona contro il Ribelle che ha in mente di impossessarsene.
Ancora un thriller psicologico dunque dai romanzi della Highsmith, uno di quelli in cui la trama non si snoda tanto tramite ciò che viene detto, ma piuttosto in quelle pause e quegli sguardi dove, pur non esclamando sillaba o vocale, ognuno dei protagonisti promette all'altro di vender cara la pelle. Kirsten Dunst si trasforma allora in una porzione di quella posta in palio da cui il personaggio di Isaac può partire per avviare la sua tattica offensiva, consapevole di vedersela con una personalità come quella di Mortensen che non ha intenzione di cedergli nessun pezzo di quel regno che ha personalmente innalzato e protetto. Ma è proprio a fronte di questo processo, ovvero quando "I Due Volti Di Gennaio" esterna le sue reali intenzioni che il regista Amini perde il controllo del pedale e della tensione, palesando poca dimestichezza col genere e rovinando un'atmosfera che lentamente stava tentando di crescere. Nelle fasi in cui il testa a testa tra le due individualità avrebbe dovuto trasmettere l'allerta di un passo felpato, ma incalzante, la sua pellicola si assopisce, perdendosi distrattamente tra i paesaggi e le rovine di una Grecia che anziché essere sfondo, finisce per rubare la scena, depotenziandola da ogni drammatizzazione.
L'epilogo turco perciò giunge scarico sia di suspense che di spiazzo, peggiorando - se poteva essere possibile - l'andamento di una sceneggiatura che non rischia mai qualcosa, ma preferisce affidarsi alla bravura di un cast rodato e affermato. Neanche a farlo apposta perciò, è proprio per colpa dei due volti assunti che Amini non centra il bersaglio: curando molto più quello nuovo, dietro la macchina da presa, e assai meno il vecchio, che trascurato fa fallire in pieno la sua intera operazione.
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