Lucy - La Recensione

Il raggiungimento delle piene capacità del nostro cervello passa per le droghe sintetiche.
Non è un'affermazione medica, per carità, quanto un'affermazione cinematografica, formulata già da Neil Burger con "Limitless" e ora da Luc Besson con "Lucy".

In entrambi i casi c'è però il contraccolpo di un'impossibilità da parte nostra a gestire la cosa, che se per Bradley Cooper poteva essere la dipendenza dalla sostanza, per Scarlett Johansson diventa mutazione cellulare: un processo al quale non può più sottrarsi poiché il suo organismo è entrato in possesso della droga in questione non attraverso dosi specifiche, ma per un trasporto illegale via intestino, cominciato per sbaglio e finito peggio, che ha portato all'apertura del sacchetto nascosto all'interno del suo corpo e all'assunzione massiccia di circa mezzo chilo in presa diretta. In questo modo una giovane studentessa indifesa si trasforma nella Vedova Nera più letale che la Marvel abbia mai realizzato, specialmente quando il signore della droga che voleva usarla si mette sulle sue tracce per recuperare ciò che gli appartiene. Tuttavia Besson cerca di evitare che la sua protagonista cominci a giocare con ruoli che vadano oltre quelli della sua opera e sbiadisce "Lucy" dal puro intrattenimento-action shakerandola con una buona dose di Storia, scienza e fantascienza.

Ha voglia di improvvisarsi professore il vecchio Luc, di impartire consigli sul senso della vita (e gli riesce bene) e raccontarci un po' l'evoluzione della nostra specie, come anche di quella terrestre. L'idea è meno malvagia del previsto specialmente quando con il filo principale di Lucy questa entra in parallelo, alternandosi per voler suggerire un succedersi di eventi che potrebbero accadere o che saranno imminenti per il filo principale. E' la fase più convincente della pellicola, quella in cui ogni cosa funziona a meraviglia e in armonia, e le prospettive appaiono quelle del grande colpo azzeccato. Peccato, dunque, che questa intuizione registica non sia abbastanza forte da piantare radici e imporsi fino all'ultimo frame, ma che invece ad un certo punto venga sradicata per fondersi e trasformarsi in un gomitolo unico, intrecciando il personaggio della Johansson con il professore americano trapiantato a Parigi di Morgan Freeman. E' il momento, questo, in cui "Lucy" inizia a peccare e a prendere troppo fiato, a sfilacciarsi, a credersi qualcosa di più grosso sciorinando teorie - spesso inventate di sana pianta - che fortunatamente pur penalizzando il ritmo e l'attenzione non abbattono quanto di buono costruito in precedenza, sebbene qualche graffio sulla carrozzeria sia inevitabile.

Eppure Besson procede, spensierato, come se niente fosse, visto che "Lucy" obiettivamente fa il mestiere per cui è stato creato e, in qualche frangente, sa anche superarsi (l'inseguimento in strada è uno dei migliori visti al cinema di recente). Così come si supera Scarlett Johansson, bravissima a dare al suo personaggio la giusta dimensione e a mutare in perfetta sincronia con le richieste della trama, rendendo la sua performance di gran rilievo e memoria e la giostra che sponsorizza consigliabile.

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Commenti

  1. Qua sei stato troppo buono Gio... Da un regista come lui con quel cast mi aspettavo davvero molto di più..

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