Un Milione Di Modi Per Morire Nel West - La Recensione

Non ci possiamo credere. Anzi, non ci vogliamo credere.
Che le polemiche, le pressioni e i fatti recenti, che hanno visto la soppressione e la chiusura della serie televisiva "Dads", sua ultima creazione, abbiano spinto Seth MacFarlane ad addolcirsi e a lasciarsi domare.

Eppure il suo "Un Milione Di Modi Per Morire Nel West" appare più pacato, più dolce, meno incline al politically incorrect e a quell'ironia tagliente che sapeva far ridere tanto quanto graffiare, dividendo la sfera degli spettatori tra irritati e soddisfatti. Si, insomma è un MacFarlane in gran parte inedito quello che sta cercando in vari modi di farsi largo anche al cinema: intelligente a comprendere e a riparare gli errori commessi con "Ted", ma timoroso e impaurito nel riproporre il suo spirito che, nel bene e nel male, era contributo massimo della sua espressione e della qualità del suo lavoro. In questa ultima uscita infatti è facile notare maggior cura verso una sceneggiatura ordinata e meno sfilacciata, costruita secondo regole scolastiche pur rispettando quelle del genere western, di cui si prende gioco non dimenticandone ingredienti, stereotipi e miti (il nome del villain interpretato da Liam Neeson è un chiaro omaggio a Clint Easwood). A mancare tuttavia è il sale, quel pelo sulla lingua che da MacFarlane ti aspetti e per cui decidi di andarlo a vedere, quello per cui si è affermato e, se vogliamo, croce e delizia della sua personalità.

E quindi "Un Milione Di Modi Per Morire Nel West" funziona, si, ma in maniera fiacca, spinto da un cast tosto e deciso e dalle rarissime trovate geniali e affascinanti (vedi la celebrazione a "Ritorno al Futuro" e a "Django Unchained") che mostrano ancora di più la poca dimestichezza di una simpatia con cui il suo autore tenta di socializzare e la messa in stand-by di una cattiveria gratuita che stavolta avrebbe giovato e fatto la netta differenza. Il protagonista codardo e depresso, lasciato dalla ragazza e consapevole di esser nato in un luogo e in un epoca - quella del west appunto - a lui distanti e inconcepibili, poteva essere terreno fertile per infinite strade comiche ed esilaranti da percorrere, così come gli assurdi personaggi di contorno - come quelli dell'accoppiata Giovanni Ribisi e Sarah Silverman o, perché no, quello dello stesso Neil Patrick Harris - se ben sfruttati potevano migliorare sensibilmente l'effervescenza da portare in scena. Però il verbo stavolta pare voler esser più quello di contenere l'anarchia-umoristica e di favorire sopra ogni cosa una trama romantica palesemente debole, capace di non sopperire solo per merito di una Charlize Theron inedita e perennemente in parte.

Ma sebbene provi a farcelo credere, persino sforzandosi forse, siamo stra-coscienti che l'estro di MacFarlane sia decisamente altro rispetto a quello timoroso e posto sulla difensiva che "Un Milione Di Modi Per Morire Nel West" prova a metterci davanti agli occhi. La sua spudoratezza e indisciplina sono un dato di fatto, e devono assolutamente tornare a timbrare il cartellino di fianco a lui, tentando di convivere armonicamente, magari, con la canonicità di costruzioni narrative equilibrate, che comunque al cinema - molto più rispetto che in tv - sono necessarie e benefiche.

E' evidente che per l'autore de "I Griffin" quella cinematografica è ancora una dimensione faticosa ed estranea da gestire, in cui sta cercando di inserirsi, creandosi un habitat. Quel che speriamo però è che dopo due discreti tentativi possa esserci finalmente un compromesso finale, uno che sappia unire i pregi visti fino ad ora, limitando i difetti.

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