Kingsman: Secret Service - La Recensione

Crede nella logica, forse Matthew Vaughn, chi lo sa, in quella che da "Kick-Ass" lo ha portato a dirigere qualche anno dopo "X-Men: L'Inizio", la stessa che se ha un briciolo di coerenza, adesso da "Kingsman: Secret Service" potrebbe portarlo in futuro a prendersi cura di un Jason Bourne, un Jack Bauer o, addirittura, di un James Bond (la J.B. in questi casi è fondamentale).

Li nomina uno dopo l'altro nella sua pellicola, senza alcuna discriminazione, mentre goliardicamente se la ride come un bambino, sbeffeggiando gli spy-movie attraverso la loro scomposizione e un modellamento di stampo tutto fumettistico. Perché "Kingsman: Secret Service" è innanzitutto un passatempo, un lavoro di raccordo con cui temporeggiare durante quei tempi morti che si vanno ad aprire tra l'attesa di un copione valido e la necessità di tenere viva la collaborazione con il proprio studio d'appartenenza. Un allenamento, insomma, ottimale per tenersi in forma e sperimentare inedite prospettive, comprendendone maggiormente sia utilità, sia effetti. Perciò se a livello di sceneggiatura la questione lascia un tantino a desiderare, tecnicamente - e in particolar modo nelle scene d'azione - Vaughn da la massima partecipazione e invenzione, mettendo in scena inquadrature e sequenze di rara originalità e potenza, muscolari e irrealistiche, ma capaci sopratutto di portare un pizzico di novità su di uno schermo a cui ultimamente bastava entrare in slow-motion per sentirsi saturo di adrenalina e di azzardo (uno slow-motion a cui tuttavia non rinuncia neanche Vaughn).

Celatamente però, "Kingsman: Secret Service" ha l'aspirazione di andare oltre, di non limitarsi al suo scopo principale, anzi, di ricavare il più possibile da quello che probabilmente è il suo scopo secondario se non terziario. La pellicola di Vaughn infatti, oltre ad intrattenere con gusto e a strappare risate, vuole andarsi ad infilare in mezzo a quell'insieme di numerosissimi lavori young-adult tanto di moda, e non con la sfacciataggine di chi ha la pretesa di potergli togliere lo scettro, ma con l'unico intento di disturbarli, di mettergli pressione e di dire al resto dei concorrenti già scesi in campo: ehi, ci sono anch'io. E in effetti, al di là di un esordio per niente privo di sbavature (malizioso e duro quanto basta), lo scheletro elementare estirpato dai fumetti di Mark Millar e Dave Gibbons - che vede un ragazzino inglese, tolto dalla strada, arruolarsi con l'ausilio di uno pseudo-padrino nella squadra britannica segreta Kingsman, seguendo quelle che, in passato, erano state le orme dello sfortunato padre - non solo ha con sé una solidità tale da poter funzionare a lungo termine, ma se curato un tantino meglio rischia addirittura di scavalcare più posizioni di quante fino ad ora i suoi esecutori cinematografici abbiano lievemente immaginato.

La furbizia, allora, risiede integralmente nel non aver messo tali obiettivi nitidi sul piatto, nascondendoli accuratamente sotto un cast notevole e una trama simpatica e tendenzialmente classica, dove - con un trucco che molto alla lontana ricorda "Zoolander" - ci si trova come sempre a lottare contro un nemico che prepara una fine del mondo particolarissima, quantomeno per quel che riguarda l'umanità che lo abita. Ci avesse creduto di più però Vaughn e limato meglio alcuni aspetti dello script a cui lui stesso ha messo mano, approfondendo determinati punti dove la sua pellicola sicuramente poteva migliorare, forse in questo momento staremmo parlando di "Kingsman: Secret Service" con un entusiasmo maggiore.
Sfortunatamente così non è andata, ma non è detto che non possa esserci una seconda occasione.

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