Taken 3: L'Ora Della Verità - La Recensione

Liam Neeson e "Taken" (o "Io Vi Troverò", in Italia) una storia d'amore che doveva durare un capitolo e che invece ora è già arrivata al terzo.
Ce lo aspettavamo tutti tranne lui, probabilmente, convinto a suon di milioni per aderire al secondo e da una strategia più o meno simile per continuare ad oltranza.

Eppure la vera notizia di "Taken 3: L'Ora Della Verità" non riguarda tanto la riconferma, scontata (?), del suo robusto protagonista, quanto la formula di fruizione che a sorpresa stavolta viene rielaborata, entrando brutalmente in controtendenza con quella che il pubblico di riferimento aveva dimostrato di apprezzare e di richiedere. Ci troviamo di fronte ad un'azione più sostenuta infatti, sprigionata a intervalli precisi e per niente incalzante o continuativa, con un Brian Mills che anziché andare in giro ad uccidere persone deve indagare e nascondersi per via di un omicidio (importante) che lo vede carnefice, ma di cui, prove alla mano, si sa poco e niente. Un thriller meno adrenalinico quindi, in cui dovrebbe emergere e far da padrone il duello a distanza tra l'ispettore Forest Whitaker e un fuggitivo come Neeson da non sottovalutare, ma dove invece a prevalere è una prescia nociva, che distrugge ogni tentativo di costruzione, compromettendo una gara di furbizia che davvero poteva essere l'arma a sorpresa di un franchise stanco e, a conti fatti, privo di inventive.
I problemi di "Taken 3: L'Ora Della Verità" risiedono sicuramente in un copione realizzato con superficialità, appoggiato su riferimenti preesistenti e allungato da preamboli iniziali sostanzialmente eccessivi ed assurdi. Un impianto poco studiato e di scarsa saggezza, a cui poteva far fronte solamente la mano di un caparbio regista, che pur non essendo enormemente blasonato sapesse quantomeno a grandi linee il significato di dirigere un film con determinate caratteristiche e dimensioni.

La scelta di affidare la pellicola a Olivier Megaton invece si rivela l'errore più imperdonabile commesso dalla produzione, un regista decisamente inesperto sia quando si tratta di costruire scene ad alta tensione e sia, soprattutto, quando è il turno di dare il largo alle scene d'azione: girate e montate in maniera confusionaria e incomprensibile, a eccezion fatta per quella, finale, tra l'aereo e la macchina. Luc Besson ha evidentemente perso attrazione per il suo gioiellino da milioni di dollari e la completa mancanza di partecipazione mostrata già nel secondo capitolo, è rintracciabile nuovamente anche in questo, confermando così l'accensione di un pilota automatico per niente benefico alla causa.

Diventa quindi normale iniziare a parlare di franchise allo sbando, che avanza per fisiologia e respiro, ma per cui non c'è più la minima preoccupazione o cura. Questo vuol dire che Brian Mills potrebbe tornare, ancora e ancora, ma non avrà mai la stessa grinta e muscolarità di quando lo abbiamo conosciuto per la prima volta, al massimo quella stanchezza di chi aspetta impaziente la chiamata finale, chiusa da quella frase liberatoria che dice: da oggi in poi i suoi servizi non sono più richiesti.

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