Black Sea - La Recensione

Nel 1979 un gruppo di astronauti veniva eliminato brutalmente, uomo dopo uomo, da un'alieno assetato di morte, capitato accidentalmente nel loro abitacolo.
Nel 2015 lo stesso canovaccio - privato dell'elemento fantascientifico, ma con l'inserimento di una traccia Storica - viene riproposto da Kevin Macdonald e dal suo "Black Sea" tramite un gruppo di proletari disperati, alla ricerca di riscatto verso i potenti, che s'incammina verso una missione ai limiti del possibile, con l'intento di ovviare alle condizioni economiche pessime che li circondano.

Distanti come il cielo e la terra - o come lo spazio e le profondità del mare - allora "Alien" e "Black Sea" trovano connessione attraverso la loro struttura, assemblaggio e ultimo, ma non per ordine di importanza, attraverso la loro caratteristica claustrofobica e asfissiante. La pellicola di Macdonald infatti, non potendo contare sull'effetto sorpresa, preme l'acceleratore sulle atmosfere e sui personaggi: un misto di disperati e psicopatici, composto metà da inglesi e metà da russi, pronto ad entrare in competizione sulla spartizione di un bottino non ancora recuperato e a mettere a repentaglio la propria vita e quella degli altri pur di spostare la soglia dell'equilibrio secondo i suoi calcoli (sebbene i russi vengano dipinti con maggiore buon senso). A minare la stabilità di una vittoria tutta da conquistare, eppure teoricamente possibile, diventa quindi non più l'imprevedibilità del fattore esterno e né tantomeno il tradimento della presenza tecnologica di turno, è l'uomo stesso secondo lo sceneggiatore Dennis Kelly ad essere un pericolo, sia per lui che per la comunità, incapace oggi di condividere e di restare fedele persino quando ad entrare in ballo c'è uno scopo comune, che porterebbe a lui come agli altri gli stessi identici benefici.

L'unico tratto distintivo di "Black Sea", dunque, arriva proprio da questa nota di negatività che in qualche modo ci condanna tutti pur mantenendo aperto un leggero spiraglio positivo. La pellicola di Macdonald, nonostante ribadisca in più di un occasione di volere attaccare determinate categorie sociali e inclinazioni lavorative legate al periodo che stiamo vivendo, non riesce purtroppo a brillare integralmente per audacia e invenzione, pur mantenendo dalla sua il vantaggio di proporre costantemente uno spettacolo solido, potente, che raramente concede respiro e lascia spazio alla distrazione. Jude Law (bravissimo) e il suo equipaggio sono studiati appositamente per creare empatia con lo spettatore e la trama, la quale, esattamente perché scandita secondo regole conosciute, non si abbandona mai a momenti di ricarica, procedendo costante ad un ritmo non forsennato, ma dinamico.
Ed è sostanzialmente per questo motivo, quindi, che gli si perdonano volentieri alcuni intermezzi in cui sembra che le pieghe del racconto vogliano prendere strade potenzialmente dure, così come rischiose: come quando viene accennato, a seguito delle prime divergenze, uno scontro diplomatico e politico tra inglesi e russi, con i primi entrati in possesso del cibo e i secondi in possesso dell'acqua. Uno stallo interessante, in cui davvero Macdonald sembra voler far perdere la bussola e riscrivere completamente un copione letto e riletto, ma allo stesso tempo uno stallo che lui stesso accetta di risolvere in maniera forse fin troppo semplice, pur di riprendere quella strada principale che poi manterrà fino in fondo, senza alcuna deviazione.

Consapevole dei suoi mezzi e soprattutto dei suoi limiti "Black Sea" perciò si lascia voler bene, non aspirando a qualcosa di più vasto. Intrattiene con grande maestria e incolla alla poltrona come molti prodotti che vorrebbero ambire al suo stesso risultato, al contrario, non riescono. Da il meglio di sé nella scena di perlustrazione fuori dal sottomarino, dove l'oscurità del mare e gli effetti sonori creano un connubio affascinante e una tensione spietata.
Il segnale che quando Macdonald vuole, è in grado anche di spostare la sua asticella di bravura dal livello medio a quello più alto.

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