Una composizione a strati, insomma, quella architettata dal regista Noah Baumbach, che dopo lo splendido affresco sulla gioventù 2.0 proposto con "Frances Ha" ora si trova a riflettere su ciò che lo riguarda più da vicino, ovvero la maturazione totale e finita dell'uomo. C'è una bellissima confessione di Stiller nella sua pellicola, precisamente quando si apre alla moglie, Naomi Watts, dicendogli quanto per lui sia difficile sentirsi realmente adulto e non giocare al bambino che invece l'adulto finge di imitarlo. Un momento che riesce da solo a completare il puzzle narrativo e a racchiudere un po' il riassunto di quella crescita e responsabilità, non sempre evitate per colpa di un immaturità ingombrante, ma spesso propriamente non sentite e/o conquistate. Da qui comprendiamo il livello di connessione instaurato tra la pellicola e il suo autore, che finge in prima battuta di voler dirigere un lavoro di stampo corale, ma lentamente e inevitabilmente si trova poi a stringere il campo, focalizzandosi a pieno sulla figura di Stiller, suo preciso e probabile alter ego.
Somiglia un po' a Woody Allen infatti Baumbach in questo frangente, gli somiglia con l'enorme sorpresa di chi in realtà non aveva la minima intenzione di somigliargli: ci mette l'ironia, i capovolgimenti di fronte e quei privati di coppia matrimoniale in cui si ragiona sulle vite e le scelte, condivise o meno, degli altri.
Scava a fondo pur dando la sensazione di rimanere in superficie "Giovani Si Diventa", fa finta di non volersi esporre abbastanza, eppure nel frattempo mostra i fianchi e non solo: come quando durante una ripresa drammatica l'odioso Driver si permette spudoratamente di scalvalcare Stiller in cabina di ripresa, senza però essere né redarguito e né interrogato. Questo perché i quarantenni protagonisti sono tutt'altro che stupidi o distratti, al contrario sono disposti ad accettare qualsiasi tipo di compromesso pur di non entrare a far parte del circolo dei genitori e continuare a frequentare quello, ormai non più alla loro altezza, dei giocatori. Già perché come intuisce Stiller, in preda alla rabbia e nell'attimo maggiore di lucidità: pur essendo, in prima battuta tutti potenziali talenti, prima o poi arriva il punto in cui si smette di essere scommesse e si deve accettare di esser solamente ciò che si è diventati, risparmiando la fatica di aggrapparsi con le unghie e con i denti ad un treno di cui non si può avere più né biglietto né accesso. Giunti a quella meta bisogna solo guardare in faccia la realtà, vedere se in essa, rispetto alle premesse, figuriamo come titolari o come panchinari e accettare il verdetto con sportività, commentando, magari, su quanto sia comune credere di avere sempre il mondo nelle mani finché si è giovani.
Ed è rigorosamente in questo istante, allora, che gli strati della pellicola di Baumbach, sebbene non smettano di farsi vedere (e sentire), mostrano finalmente le loro intenzioni e inclinazioni, completando attraverso Stiller quello che era stato un lenzuolo molto più ampio e assai indefinito. Le parentesi da commedia così come quelle thriller d'altronde non avevano mai convinto di essere sincere fino in fondo e non avevano mai nemmeno mollato il disagio di fondo a cui "Giovani Si Diventa" rimane aggrappato e fedele. Un disagio che viene spazzato via solamente da quella speranza di vedere il prima possibile questa simpatica, e non perfetta - per carità - famiglia, smettere la loro guerra contro la vecchiaia e procedere verso il resto della loro lunghissima e splendida esistenza.
Una missione decisamente più possibile e migliore della precedente.
Trailer:
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