Le tematiche sono più o meno le stesse, il riscatto, inteso qui come redenzione, l'amore sotto forma di medicina e l'America, un paese che nei suoi alti e bassi, inevitabilmente scuote e sposta, non sempre su binari comodi, la vita delle persone.
Cameron Crowe è questo, o lo si ama o lo si detesta, e lo è a dosi grandi così come a dosi piccole, quelle con cui lo abbiamo visto esporsi nei suoi ultimi due lavori. L'ultimo in assoluto è "Aloha: Sotto Il Cielo Delle Hawaii", che appunto sfrutta un percorso già calcato dal regista, per raccontare la storia di un militare costretto a vendere la propria anima ai privati miliardari e a lasciare l'esercito per reagire alla crisi economica mondiale del lontano 2008. Cambiato all'esterno, dove una missione di guerra gli ha compromesso parzialmente una gamba, ma soprattutto all'interno, per via di un cinismo e un disincanto sviluppati oltremisura, il ritorno nella sua vecchia terra - le Hawaii - per via di un incarico di lavoro, lo costringerà però a riprendere alcuni discorsi lasciati in sospeso e magari a ripristinare contatto con quella persona che era una volta e che adesso appare distante oltremisura sia a lui che agli affetti più cari. Altro giro, altra corsa, insomma, non esattamente necessaria o decisa, (come, al contrario, lo era stata per Tom Cruise, Orlando Bloom e Matt Damon) eppure scatenata dalla magia di un luogo in cui la leggenda e la metafora fanno da padroni, e in cui l'amore - colpa di una Emma Stone incorreggibile e di una Rachel McAdams che sa difendersi - ha il dovere di prenderti e di salvarti. Subito, ancora, per sempre.
Per Crowe tale vortice è quasi una legge, l'unica speranza, ce lo ha detto in "Jerry Maguire" e ce l'ha urlato in "Elizabethtown". Un uomo (o una donna) con la persona giusta al suo fianco è definitivamente salvo, rinato, assolto. Ed è per questo, probabilmente, che in "Aloha: Sotto Il Cielo Delle Hawaii" le due donne per le quali il personaggio di Bradley Cooper si trova a dover sbarellare sentimentalmente sono entrambe due figure forti, toste, che sanno prenderlo sotto braccio, ma anche strattonarlo con forza se necessario, tenendogli testardamente testa e domandolo a più riprese. Questo è il mondo che il regista vuole (e vorrebbe) vedere, quello che costruisce ogni volta nei suoi film, e quello in cui ultimamente ha iniziato a perdersi, innamorato del tepore e della sua bellezza. Distrazione comprensibile, che tuttavia intacca, nel caso specifico, una sceneggiatura a cui manca l'energia di una degna conclusione, una emozionante, o altrimenti detta "alla Cameron Crowe", sostituita da un punto a capo repentino e facilone, messo un po' a caso, e che non da giustizia a una trama godibile nonostante la sua innata semplicità.
E allora si, è vero, forse quello di "Aloha: Sotto Il Cielo Delle Hawaii" non è il Cameron Crowe lucido che aspettavamo, non è sicuramente quello che amiamo vedere, ma da qui a crocifiggerlo, come in molti hanno osato, sicuro, ce ne passa. Per quanto ci riguarda il suo cinema, fuori forma o meno, ha sempre motivo per respirare e muoversi, per esistere e esser sostenuto: come ci ricorda la scena del ballo tra Emma Stone e Bill Murray. Assurda, dolce e indimenticabile.
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