E' il giornalismo testardo a prendere per mano e portare in cima "Il Caso Spotlight", lo stesso tipo di giornalismo, elevato alla massima professionalità, che ci ha mostrato in tv quel gran genio di Aaron Sorkin e che Thomas McCarthy tenta di ripristinare, indietro nel tempo, in un contesto non uguale a quello in cui spaziava Will McAvoy (qui siamo su carta stampata), ma ugualmente complicato, stavolta per via del portamento e degli effetti collaterali di una notizia importante così come inaccettabile. Oltre le difficoltà, ovvie, di un lavoro di squadra stressante e colmo di ostacoli, portato avanti con ardore dai componenti della squadra Spotlight, la pellicola infatti si ferma spesso a contemplare quelle che sono le questioni deontologiche della materia, quelle legate a una Chiesa che non solo è organo principe della maggior parte dei lettori della testata, ma che negli anni 2000, lo si dice papale, papale, conservava ancora quel valore simbolico e spirituale a cui appoggiarsi e far riferimento (seppur già in netto calo rispetto a qualche decennio prima).
Sebbene quindi l'evidenza delle prove inviti quasi facilmente a prendere le parti dell'accusa, McCarthy sceglie abilmente di, non prendere posizione e fornire stesso peso e spessore all'influenza (e alla rilevanza) della fede: quella che per esempio costringe il team di giornalisti a prendersi una pausa dalle investigazioni (ma non a metterle in cavalleria) a seguito della catastrofe dell'11 Settembre, momento in cui l'unione e la preghiera assumevano, platealmente, priorità massima per tutto il paese.
Tuttavia di frenare o di accarezzare la sua materia "Il Caso Spotlight" non ha alcuna intenzione: ogni mossa dunque è ponderata, lecita e inserita al tempo giusto e nel giusto spazio. Quando c'è da picchiare forte e affossare, non si fa scrupoli, utilizzando e chiedendo massima chiarezza a quei dialoghi espliciti e duri rilasciati dai testimoni, abusati da piccoli e interrogati dai giornalisti per le deposizioni.
Conferisce dunque al suo lavoro un tocco fortemente classico e misurato McCarthy, con quello stile onesto, pulito e curato che sembra aderire egregiamente al racconto e ai suoi protagonisti. Con loro al timone, e con la camera sempre attenta a restituirgli un primo piano o un totale, piuttosto che una carrellata a stringere o ad allargare, la narrazione trova l'esatto metodo per imporsi ed accendersi, permettendo alla storia vera che riporta di vivere sullo schermo con massima potenza, valore e nessun ricatto verso chi assiste.
Convince, ma soprattutto incanta e fa innamorare perciò l'opera di McCarthy, con un cinema forse considerato in via di estinzione e rarissimo ultimamente, ma dotato di una prestanza e un'accuratezza capace di funzionare e di colpire oggi come ieri. Rimanendo nella testa e lavorando nella pancia.
Trailer:
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