The Wolfpack: Il Branco - La Recensione

Costretti in casa per una vita intera: questo era il destino previsto per i fratelli Angulo. Non perché qualche disgrazia gli impedisse di fare altrimenti, ma perché il loro padre-padrone, un giorno, ha deciso che il mondo li fuori fosse troppo incivile e pericoloso per i suoi figli. Li avrebbe voluti veder crescere in campagna lui, i suoi bambini (c'è anche una sorella, ma sullo sfondo), correre tra i prati, spensierati e felici, lontano, insomma, dal caos e dall'imprevedibilità di Manhattan e delle sue strade. E infatti, loro, Manhattan, pur vivendoci, hanno imparato a vederla, al massimo, in finestra, o, più da vicino, in quella quantità enorme di film che assimilavano a più non posso e poi si divertivano a rimettere in scena in formato casalingo. Un modo come un altro per non farsi schiacciare dalla noia e dalla solitudine, accarezzando l'allegria, ma senza allontanare quel desiderio di ribellione che, con l'adolescenza, tende ad aumentare la sua smania, andando incontro al proibito e al senso di libertà.

Era questione di tempo, in fondo, prima che uno dei sei fratelli decidesse di rompere le righe e di andare in avanscoperta: mascherato, magari, da Michael Meyers, perché così è più complicato farsi riconoscere e la paura dell'ignoto può esser più gestibile. E' stato questo però il primo passo con cui "The Wolfpack: Il Branco", ha iniziato a formarsi, mancava ancora qualcosa, in realtà, ma che quello squarcio avrebbe portato alla scarcerazione totale dell'intera famiglia era una conseguenza neppure troppo incalcolabile e fisiologica. Il branco appassionato di Tarantino e di Batman alla fine ha ceduto alle sue volontà, sbranando la figura di un padre anarchico, che seppur capo-branco, nessuna resistenza ha tentato (e potuto) verso quella che anche lui, consapevolmente, si aspettava come reazione e risposta al severo comandamento pronunciato. Ciò che, forse, si aspettava meno è che sulla strada dei suoi ragazzi sarebbe capitata la regista Crystal Moselle, la quale ha avuto la fortuna di scontrarsi con loro appena freschi di emancipazione, conoscendoli a fondo prima di proporgli l'idea di raccontare, attraverso un documentario, il loro disagio, il loro approccio (tardivo) alla vita e, perché no, la loro cultura.

La sua pellicola allora è un ripercorrere dei momenti pre-liberatori e post di questi ragazzi: ricca di filmati di repertorio, che mostrano a tutto tondo la loro passione per il cinema, e di interviste in cui ogni membro della famiglia, a turno, descrive la propria condizione, non privo di difficoltà, emozioni e, nel caso dei genitori, di senso di colpa. Lo spazio relativo a tutto ciò che riguarda l'esterno, la sua scoperta e l'esserci finalmente entrati in contatto, sebbene sia il cuore del progetto sembra non essere poi così intrascurabile, così come il discorso legato alle mancate prime volte che i ragazzi erano ansiosi di colmare e smarcare, ridotto a poca cosa e senza alcun genere di approfondimento. Ciò su cui si concentra invece la Moselle sono i dettagli, invece, quelli di una privacy e di una chiusura verso l'esterno violentati dalla sua entrata in scena e dalla sua telecamera indiscreta e invadente. Inizialmente approcciata con un pizzico di disagio nei volti dei protagonisti, la sua presenza viene mano, mano utilizzata come una possibilità per ricucire il tessuto familiare, aprendosi all'obiettivo e parlando di fronte ad esso con massima sincerità e trasparenza (a volte anche involontariamente).

E' una storia assurda e violenta quella che racconta "The Wolfpack: Il Branco", del resto, che mantiene la sua incredulità persino dopo averla vista e ascoltata con in nostri occhi e orecchie. Che esistessero delle realtà che non conosciamo, ne eravamo al corrente, per carità, ma che queste potessero ergersi persino sotto il nostro naso, tuttavia era più difficile da credere e da sostenere. E questa, insieme al ritorno alla vita appassionato della famiglia Angulo, è sicuramente, la scossa più forte che la Moselle riesce a incartare e ad inviare.

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