Non è il dobbiamo parlare del titolo il fattore scatenante della pellicola di Sergio Rubini. Non è da quella frase da brividi lungo la schiena che la guerra tra coppie e la guerra tra amici si scatena, minando, in una notte, i loro rapporti in via definitiva o, forse, temporanea.
C'è un tradimento infatti a fare da miccia, un tradimento commesso dal chirurgo benestante Fabrizio Bentivoglio (per l'occasione romano) ai danni della moglie Maria Pia Calzone, che trafugando il suo WhatsApp ha raccolto le prove necessarie per le quali adesso pretende il divorzio e gran parte del conto in banca del marito. Ma a rimetterci in questa discussione famigliare è l'altra coppia, quella dei loro amici scrittori formata da Sergio Rubini e Isabella Ragonese, i quali, convinti di dover andare ad una mostra d'arte e poi a cena con il loro editore, si ritrovano inaspettatamente, ostaggi del conflitto insieme alla loro casa che diventa vero e proprio ring con tanto di round per concedere pausa. C'è moltissimo da rinfacciarsi, in fondo, nel rapporto di coppia dei due benestanti, non solo un tradimento, ma tutta quella serie di mancanze che solitamente, appunto, non vengono sollevate per paura di doversi mettere a discutere e arrivare ad un punto sempre più lontano rispetto a quello che si ha in testa o che si è programmato. Ci sono addirittura sassolini nelle scarpe, che visto il clima alzato nessuno si fa problemi a togliere e a scagliare, sperando ogni volta che la buona parola dei scrittori piccolo borghesi che assiste arrivi al momento giusto e getti acqua su un fuoco fuori controllo. Loro, del resto, di questi problemi non ne hanno, se lo dicono anche di nascosto, appena possono, loro si amano, si parlano e guardano dall'alto una situazione nella quale ritrovarsi non sembra uno scenario possibile.
Eppure il parlarsi spesso non è sufficiente, spesso può essere uguale al non parlarsi. O perlomeno è così se viene fatto artificialmente, tralasciando quindi il peggio, rassicurandosi che quanto detto, seppur non sia il totale, basti a tenere a freno le corde e a mantenere la quiete. Perciò quel veleno sputato a vicenda nella loro casa, a furia di essere schivato con difficoltà, alla fine attecchisce e infetta pure chi era convinto fosse immune a riguardo, allargando la battaglia a tutto tondo e mischiando accuse e confessioni. La differenza tra i tipi di coppia allora esce fuori, quel distacco che Rubini probabilmente ci teneva a mettere in evidenza tra rapporto sentimentale e rapporto d'interesse emerge ben chiaro, come due legami apparentemente simili l'uno con l'altro, ma diversi nel reagire a quelle ferite che la frase dobbiamo parlare solitamente causa a ripetizione.
A questo punto il pesce rosso messo a narrare la storia torna a prendersi la scena, chiedendo indirettamente allo spettatore se stare zitti, fondamentalmente, sia la miglior formula per mantenere viva una relazione, a meno che questa non si regga secondo principi altri, non esattamente moralistici. Tuttavia "Dobbiamo Parlare" a tale destinazione, se ci arriva, non lo fa con lo stile e l'impulso che, in partenza, si era prefissato. Il tentativo di miscelare due realtà recenti come "Carnage" e "Il Nome Del Figlio" da parte sua è assai faticoso e poco naturale, e ciò non può far altro che tenerlo a distanza chilometrica dai due modelli e influire sicuramente sul suo valore complessivo.
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