Sarà stata la passione smodata per il Museo del Louvre a spingere il regista Aleksandr Sokurov verso un progetto che, puntando i piedi nella Seconda Guerra Mondiale - precisamente nell'invasione tedesca ai danni della Francia - andava a prendere in esame l'Arte come mestiere e come testimonianza di Storia e di cultura legata all'essere umano. Sarà stato per via di quelle opere e di quegli artisti che il suo "Francofonia" sceglie di incrociare il documentario con la finzione, in un linguaggio meta-cinematografico che fa cadere, quasi, ogni principio d'identità preliminare, affacciandosi allo spettatore come oggetto misterioso da decifrare e da cui lasciarsi o meno impressionare.
Trovare una definizione, trovare una spiegazione alla sua pellicola è in effetti un compito astruso e, forse, addirittura frivolo. Non avrebbe senso infatti sforzarsi per chiudere in uno spazio la coscienza e la passione di un opera che, giustamente, come il titolo lascia intendere, è una sorta di melodia soave e poetica, prettamente francofona, da seguire con gli occhi e con le orecchie, alla stregua di un concerto di musica classica. Del resto, si sa, Sokurov è un anarchico, mentalmente indomabile, capace di dedicarsi a voli pindarici senza andare mai incontro al rischio di farsi male o di schiantarsi completamente. Il suo è un cinema customizzato su corde personali, per cui inimitabile da chiunque, e se ci si accosta bisogna già essere preparati a qualcosa di particolarissimo. Particolarissimo come filmati di repertorio, immagini e personaggi storici, reinterpretati, che riescono a convivere organicamente, sulla stessa scena, senza creare alcun disturbo visivo o stonature. Particolarissimo come Napoleone che vaga fiero intorno al Louvre, incensandosi per ciò che è visibile tra quelle mura grazie ai suoi sforzi, dividendo la scena (e i dialoghi) con Marianna di Francia, ma senza nulla togliere ai veri protagonisti Jacques Jaujard e il Conte Franziskus, rispettivamente direttore del Museo del Louvre dal tempo di Guerra il primo e gerarca nazista, incaricato dei beni artistici da Hitler in persona il secondo. Una collaborazione su cui si è speculato molto, eppure da considerarsi meno aspra e tesa del previsto.
Nonostante il periodo e, soprattutto, nonostante gli opposti schieramenti Jaujard e Wolff-Metternich, ci svela Sokurov, viaggiavano stabili sulla stessa lunghezza d'onda, entrambi volevano il bene delle opere d'arte ed erano in linea con le mosse da mettere in pratica per salvaguardare quello che consideravano un patrimonio inestimabile. Per "Francofonia" loro due sono pedine fondamentali, non tanto per mettere in evidenza un dettaglio storico, magari, passato inosservato, quanto per allargare proprio quel discorso, a cui prima facevamo riferimento, sull'importanza dell'Arte che addirittura riesce ad andare oltre il potere (Hitler) ed oltre le priorità (lo scontro Mondiale). Di fronte ad essa persino un soldato può restare disarmato, perdere la sua uniforme e confondersi tra la folla affascinata, di fronte ad essa persino Sokurov dimentica lo scheletro del suo progetto e si lascia andare a qualcosa di indefinito in grado di inquadrare comunque la grandezza e la straordinaria complessità non solo visiva, ma anche dinastica di un mestiere antico così come immortale.
Nulla di strano, dunque, se impalpabile ci sembrerà, alla fine, ciò che abbiamo vissuto, o se intricato ci apparirà esprimere quel che abbiamo visto. Perché l'importante è che quella sensazione di idolatria che ha rapito Sokurov e che lui, a suo modo, ha provato a ricostruire dentro di noi, si sia fatta largo, segnando quella traccia indelebile commissionata in principio.
In fondo come dargli torto: chi la vorrebbe una Francia senza Louvre, o una Russia senza Ermitage?
Trailer:
Trovare una definizione, trovare una spiegazione alla sua pellicola è in effetti un compito astruso e, forse, addirittura frivolo. Non avrebbe senso infatti sforzarsi per chiudere in uno spazio la coscienza e la passione di un opera che, giustamente, come il titolo lascia intendere, è una sorta di melodia soave e poetica, prettamente francofona, da seguire con gli occhi e con le orecchie, alla stregua di un concerto di musica classica. Del resto, si sa, Sokurov è un anarchico, mentalmente indomabile, capace di dedicarsi a voli pindarici senza andare mai incontro al rischio di farsi male o di schiantarsi completamente. Il suo è un cinema customizzato su corde personali, per cui inimitabile da chiunque, e se ci si accosta bisogna già essere preparati a qualcosa di particolarissimo. Particolarissimo come filmati di repertorio, immagini e personaggi storici, reinterpretati, che riescono a convivere organicamente, sulla stessa scena, senza creare alcun disturbo visivo o stonature. Particolarissimo come Napoleone che vaga fiero intorno al Louvre, incensandosi per ciò che è visibile tra quelle mura grazie ai suoi sforzi, dividendo la scena (e i dialoghi) con Marianna di Francia, ma senza nulla togliere ai veri protagonisti Jacques Jaujard e il Conte Franziskus, rispettivamente direttore del Museo del Louvre dal tempo di Guerra il primo e gerarca nazista, incaricato dei beni artistici da Hitler in persona il secondo. Una collaborazione su cui si è speculato molto, eppure da considerarsi meno aspra e tesa del previsto.
Nonostante il periodo e, soprattutto, nonostante gli opposti schieramenti Jaujard e Wolff-Metternich, ci svela Sokurov, viaggiavano stabili sulla stessa lunghezza d'onda, entrambi volevano il bene delle opere d'arte ed erano in linea con le mosse da mettere in pratica per salvaguardare quello che consideravano un patrimonio inestimabile. Per "Francofonia" loro due sono pedine fondamentali, non tanto per mettere in evidenza un dettaglio storico, magari, passato inosservato, quanto per allargare proprio quel discorso, a cui prima facevamo riferimento, sull'importanza dell'Arte che addirittura riesce ad andare oltre il potere (Hitler) ed oltre le priorità (lo scontro Mondiale). Di fronte ad essa persino un soldato può restare disarmato, perdere la sua uniforme e confondersi tra la folla affascinata, di fronte ad essa persino Sokurov dimentica lo scheletro del suo progetto e si lascia andare a qualcosa di indefinito in grado di inquadrare comunque la grandezza e la straordinaria complessità non solo visiva, ma anche dinastica di un mestiere antico così come immortale.
Nulla di strano, dunque, se impalpabile ci sembrerà, alla fine, ciò che abbiamo vissuto, o se intricato ci apparirà esprimere quel che abbiamo visto. Perché l'importante è che quella sensazione di idolatria che ha rapito Sokurov e che lui, a suo modo, ha provato a ricostruire dentro di noi, si sia fatta largo, segnando quella traccia indelebile commissionata in principio.
In fondo come dargli torto: chi la vorrebbe una Francia senza Louvre, o una Russia senza Ermitage?
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