Revenant: Redivivo - La Recensione

Se il termine cinema significasse saper muovere la macchina da presa, intercettare la migliore inquadratura per un primo piano, o lasciarsi trasportare dal fascino di una panoramica ben fotografata, allora, "Revenant: Redivivo" sarebbe la migliore espressione del mestiere disponibile sul mercato. Ma purtroppo - secondo il pensiero di chi scrive, almeno - fare cinema è anche altro, non basta l'esercizio di stile, bisogna avere qualcosa da raccontare, creare empatia, trasmettere emozioni che vadano oltre il narcisismo e l'esibizionismo della persona (o delle persone) che si trova dietro la macchina da presa.

Di tale equilibrio il regista Alejandro Gonzalez Iñárritu ne è certamente al corrente, lo conosce e lo ha testato con successo in quel "Birdman o (L'Imprevedibile Virtù Dell'Ignoranza)" che probabilmente resta, ad oggi, la pellicola meno calcata e più digeribile da lui realizzata. In "Revenant: Redivivo" infatti quel controllo della personalità di cui tanto gli eravamo stati grati c'è, ma dura solamente per un ora, dopodiché le catene che avrebbero dovuto tenerlo a bada cedono alla smania e vanificano, nell'ora e mezza successiva, ciò che sarebbe potuto diventare, senza alcun dubbio, il lavoro migliore del regista messicano. Perché dietro un racconto apparentemente epico, la cui partenza è, innegabilmente, costituita da grande efficacia e irrefrenabile tensione, c'è un cammino lungo e tortuoso affidato a Leonardo DiCaprio, in cui viene a mancare pesantemente la sostanza, o meglio ancora quell'arrosto che dopo le enormi nuvole di fumo dei vari piani sequenza e della fotografia praticamente perfetta e sublime di Emmanuel Lubezki, è anche lecito e fisiologico aspettarsi e voler cominciare a mangiare.
Tuttavia per Iñárritu e la sua presunzione, l'arrosto non ha la medesima forma che intendiamo noi. Per lui arrosto significa maestria, eleganza, protagonismo, a lui non interessa la consistenza, l'emozione, ma preferisce fare colpo sullo spettatore attraverso l'immagine e la struttura. Un concetto che dopo l'ennesima situazione estrema, dopo l'ennesimo sfiato, dopo l'ennesimo metro strusciato dallo sfortunato DiCaprio/Hugh Glass fa sicuramente più piacere al suo gusto che al nostro, che risponde inviando segnali di cedimento e portandoci fatalmente a controllare l'orologio in attesa di uno strappo ravvivante.

A questo punto la lotta alla sopravvivenza di un uomo con la natura, e con l'avidità e l'egoismo dell'essere umano, diventa a poco a poco sempre meno interessante e sostenibile. Per niente aiutata, poi, da un copione che spinge addirittura a pensare di essere stato scritto appositamente per portare il suo protagonista alla vittoria di quell'Oscar tanto bramato e sempre sfiorato. Nonostante Tom Hardy perciò si dimostri un attore assai superiore a DiCaprio, "Revenant: Redivivo" prova in tutti i modi a sostenere il contrario, mettendolo in condizioni di esprimere, scena dopo scena, il talento attoriale che lo contraddistingue facendogli fare cose: mangiare animali crudi, resistere a una sepoltura, lottare corpo a corpo con un orso, scuoiare un cavallo ed usarlo per riscaldarsi. Una serie di prove che, sebbene Leo supera senza infamia e senza lode, non creano nessuno scarto con le interpretazioni del passato e quindi non bastano a convincere integralmente per sentenziare la definitiva conclusione della sua rincorsa alla statuetta.

Colpa probabilmente anche di una storia che, appunto, sa essere eroica e magniloquente soltanto in parte, e che si perde nell'ego del suo regista, perdendo a sua volta l'occasione di valorizzare quel dolore e quella violenza che santificano il battesimo di sangue delle terre inesplorate che racconta.
In quello che, forse, più che essere un film somiglia a tutti gli effetti ad un opera d'arte, la quale, per quanto impressionante e da ammirare, non è da confondere con il cinema, ma meriterebbe di essere appesa ad un muro o impressionata su pellicola. Una fotografica ovviamente.

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