Zootropolis - La Recensione

I tempi delle prede e dei predatori sono alle spalle. Ormai, nel mondo animale vige la regola della pace e dell'uguaglianza: ogni creatura ha il diritto e la possibilità di svolgere qualunque mestiere, di inseguire i suoi sogni, a prescindere dalla conformazione, l'origine, o l'istinto animale che la contraddistingue. La coniglietta Judy Hopps allora cresce sin da piccola con il mito dell'agente di polizia, un ruolo imponente, responsabile, che i suoi genitori non credono faccia al caso suo, ma a cui lei non intende rinunciare. Sebbene, una volta arrivata nella città di Zootropolis, con le carte in regola per svolgere le sue mansioni, si renderà conto che la favola della parità con cui è cresciuta non è stata altro che l'ipocrisia di un mondo nel quale le parole sono sempre dissimili dai fatti.

Nell'immaginario costruito dalla pellicola infatti una piccola coniglietta con aspirazioni da agente può finire al massimo ad occuparsi del traffico e del pagamento dei parcheggi, così come un bradipo è rilegato a svolgere lavoro d'ufficio, alle poste, e una volpe ad arrangiarsi facendo la furba in mezzo a una strada. Insomma, tutti uguali, ma fino a un certo punto, perché anche se tra predatori e prede non c'è più guerriglia, per i primi ci sarà sempre un ruolo di spicco superiore ai secondi, come a rispetto di una scala di valori messa in cantina per educazione e quieto vivere, ma a cui, comunque, è impossibile rinunciare. Il trio di registi Byron Howard, Rich Moore e Jared Bush (quest'ultimo autore anche della sceneggiatura), allestiscono quindi un discorso che, estrapolato dal mondo animale e di finzione, ed applicato al nostro umano, di realtà, praticamente non fa una piega: salvo perdere quella dose altissima di umorismo di fondo che in "Zootropolis" riesce a rendere tutto meno amaro e scorretto, diluendo una questione piuttosto seria con personaggi, atteggiamenti e momenti sarcastici di altissimo livello. C'è sempre la commedia, dunque, a fare da sfondo, persino quando ad irrompere dentro di essa subentra una sotto-trama thriller, fondamentale per dare una sferzata al ritmo e ampliare la tematica razziale, che va ad assumere contorni ben più spessi di quanto ci si potesse aspettare, oltre che moralmente sani e precisi.

Il bilanciamento con la risata, in questo frangente è fondamentale, studiato alla perfezione e capace di non appesantire quella che vuole essere senz'altro una pellicola d'animazione dalle mire soprattutto educative, destinate in gran parte al suo pubblico di riferimento, ma assolutamente abili per colpire il bersaglio anche oltre. A confermare questo aspetto c'è, tra l'altro, una scena in particolare in cui, durante una dichiarazione alla stampa, vengono pesate duramente alcune parole sfuggite alla protagonista, forse, con troppa leggerezza e inesperienza, parole su cui però la storia, sapientemente, resta appigliata, allargando il discorso e aprendo una piccola parentesi sui termini e sul linguaggio. L'apparente circo, perciò, che a primo impatto sembrava volersi accaparrare i consensi con personaggi teneri e buffi, situazioni paradossali, strappa risate, e ammiccamenti al Cinema con la "C" maiuscola (vedi "Il Padrino"), dimostra di avere sotto la manica degli assi rilevanti e ottimi da giocare, assi con i quali si aggiudica la vittoria netta e a mani basse della partita, annientando ogni riserva o parvenza di bluff.

Perché di tali problemi, attualissimi, non se ne discute mai abbastanza, o quando lo si fa si ha sempre paura di sbilanciarsi troppo o di essere di parte. Cominciare ad inviare determinati segnali, invece, ad un pubblico mentalmente non cementato, che sia in grado di appassionarsi alla causa, tirando dentro magari persino i suoi genitori, è un tentativo nobile che l'animazione era il momento cominciasse a compiere; pur se sotto mentite spoglie e mantenendo una leggerezza di fondo.
Tentativo che questa Disney in versione arcobaleno, come da reputazione, ha realizzato nella maniera migliore possibile.

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