Nonno Scatenato - La Recensione

Nel titolo originale, del collegamento con il film di Martin Scorsese non ce n'è traccia, quel "Dirty Grandpa" che sta un po' li a mettere le cose per inciso, infatti, non se lo sogna nemmeno di osare e di associare il Robert De Niro di oggi con quello di ieri; processo che, sinceramente, pagheremmo oro per riuscire a mettere in pratica anche noi, che al contrario assistendo a un Bob formato Christian De Sica, facciamo fatica a credere ai nostri occhi e a restare impassibili.
A poco centra la scelta di marketing nostrana sulla traduzione: che fosse stato "Nonno Zozzone", come in principio doveva essere, avrebbe cambiato poco le considerazioni. Qui il problema è, più che altro, assistere alla messa in ridicolo, e allo stupro volontario, di un attore che del cinema ha fatto la storia e che non può, per rispetto soprattutto della sua icona e di quanto pesa, concedersi a certi scarti solo per conto del Dio Denaro.

Del resto, questa, è l'unica spiegazione che riesci a darti assistendo a De Niro che si masturba davanti a un porno con le salviettine a portata di mano, che non appena viene colto in fallo (ed è proprio il caso di dirlo) dal nipote Zac Efron, per farlo riprendere dallo shock, gli offre un whiskey con le mani ancora sudice del lavoretto di prima. L'unica che può giustificare l'emissione di frasi del tipo io voglio fottere, fottere, fottere o scenette in cui tenta di far perdere la pazienza al nipote mettendogli un dito nel sedere e ridendogli in faccia. Non serve certo un esperto per sostenere che un punto basso superiore a questo la sua carriera non l'aveva mai raggiunto, nonostante, ultimamente, la presenza di una volontà autodistruttiva avesse cominciato a palesarsi e a minacciarlo. Così, in "Nonno Scatenato" praticamente De Niro si trasforma in una sorta di proiezione di Will Ferrell di terza età, abbandonandosi a battute e situazioni pecorecce e assurde che rappresentano, per quella che è la sua figura nell'immaginario degli spettatori e non solo, una discesa totale e senza ritorno verso il disfacimento e l'umiliazione.

Ci fosse stato qualcun altro al suo posto le cose sarebbero state decisamente meno anormali e comprensibili: la pellicola diretta da Dan Mazer si sarebbe incastonata con meno rumore in mezzo alle numerose uscite mediocri e nulla a pretendere, avrebbe preso l'etichetta di prodotto fisiologico e pratico in una stagione cinematografica e, magari, avrebbe addirittura fatto felice qualcuno (chi lo sa, forse, le giovanissime fan di Efron). Ma invece con una scelta di casting come questa le regole di lettura devono cambiare inevitabilmente, rovesciarsi, portare a distogliere l'attenzione da quello che è un grossolano prodotto d'intrattenimento e tirare somme secondarie, eppure considerevoli come queste.
Che poi, grossolano, si, per carità, ma bisogna tenere a mente che volendo dall'anima di "Nonno Scatenato" era possibile tirar fuori anche qualcosa di molto più nobile. Bastava partire da quel concetto, che nel film è preso un po' troppo sottogamba, secondo il quale l'unico a poter spezzare la catena degli errori dei padri che ricadono sui figli deve essere il primo padre che di quella catena è stato l'artefice, provando a nobilitare un pochino l'intuizione e ad imprimerla su di una sceneggiatura leggermente più raffinata e brillante.

Evidentemente, però, il venire dalle collaborazioni con Sacha Baron Cohen non ha agevolato il fiuto di Mazer, che oltre ad aver sbagliato il taglio del suo lavoro e ad aver perduto l'occasione di valorizzare al meglio ciò che il padre dello sceneggiatore John M. Phillips aveva ispirato, non ha saputo frenare la messa in atto di alcune scelte che, volenti o nolenti, aggravano sensibilmente i frutti del suo operato.

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