Mentre un pezzo di Marvel fa a botte per decidere se sia il caso o meno di dipendere dal governo e quindi dagli esseri umani semplici, l'altra parte - quella affittata a terzi - si scontra per capire se quegli stessi esseri umani valga la pena proteggerli o eliminarli.
E' il periodo delle rese dei conti, praticamente, al cinema, e se ci mettiamo di mezzo anche il "Batman v Superman: Dawn Of Justice" di Zack Snyder ci rendiamo conto che, forse, il caso non c'entra nulla, che tre indizi fanno una prova e che l'industria dei cinecomic ormai pare orientata a realizzare prodotti fracassoni, stracolmi di personaggi, con il solo scopo di sbizzarrirsi attraverso l'epica e una quantità inimmaginabile di effetti speciali, ponendo in secondo piano (se non in terzo) il fattore trama, una volta assai più rispettato e assistito (sebbene il progetto Marvel da questo punto di vista migliori di volta in volta). Le rampicate sugli specchi di "X-Men: Giorni Di Un Futuro Passato" sotto questo aspetto furono già un segnale piuttosto limpido, il sintomo di una politica disposta a qualsiasi cosa pur di muoversi dallo stallo in cui si era andata a cacciare, da non aver problemi a mancar di coerenza e a prendere in considerazione qualche dozzinale stratagemma, pur di rilanciare, di fatto, un franchise senza dover passare, però, attraverso il classico punto e capo di rito. Tutto per tirar fuori dal cilindro un reboot non ufficiale, che finge di continuare a far parte dello stesso universo, anche se, nel frattempo, tra un salto temporale e l'altro, accantona, magari definitivamente, il cast nativo, ringiovanendo ogni protagonista e rielaborando gli eventi in una maniera che non proprio tutti han digerito e che molto ha fatto discutere.
La linea - ormai palese - è quella di concentrarsi prevalentemente sulle possibilità proiettate da "X-Men: L'Inizio", cogliendo le varie opportunità sparpagliate e puntando la bussola verso destinazioni totalmente, o parzialmente, differenti. Peccato, tuttavia, che la cura dei personaggi, i loro conflitti interni e il bilanciamento scrupoloso degli script, che aveva fatto la fortuna specialmente dei primi due film di sedici anni fa, è già da parecchio tempo che non sembrano più abitare nella scuola dei mutanti presieduta dal Professor Xavier, e lo stesso vale per le imbeccate positive ed eleganti che era riuscito ad introdurre Matthew Vaughn, alimentando aspettative per qualcosa che, a quanto pare, procede a mancare di concretizzazione. L'impressione è che il timone sia passato in pianta stabile in mano alla major di riferimento, la quale pur avendo Brian Singer a disposizione, preferisce mantenere potere esecutivo e ultima parola, rincorrendo gli spunti avengersiani senza comunque averli ancora compresi veramente: sfornando, infine, prodotti con evidenti lacune (e spesso brutture) come nel caso, purtroppo, di "X-Men: Apocalisse".
Girare intorno allo stesso conflitto (aiutare gli umani oppure combattere la loro repulsione al diverso), sottraendosi, peraltro, all'opportunità di esaminarlo da punti di vista inediti o più ricercati, è una soluzione che di per sé non facilità la presa all'interno di una narrazione in cui a mancare, oltre alla coralità e allo spessore dei protagonisti, è persino la magnificenza di un villain capace di affascinare e di convincere. L'Apocalisse osannato dal titolo - interpretato da Oscar Isaac - infatti è grande, grosso, pressoché imbattibile, ma intimorisce più per l'aspetto che per la condotta, non riesce mai a prendersi tirannicamente la scena della pellicola e raramente ama esibire le sue facoltà, accontentandosi più dei panni comodi, ma spenti di reclutatore di guerrieri (o cavalieri).
Che tanto, l'importante, da come abbiamo capito, alla fine, è accumulare risorse e metterle contro, arrabbiarsi e distruggere, in quello che sta diventando l'epilogo standard di un genere che, a questo punto, se così fosse, sta perdendo progressivamente di senso e di valore. Polverizzare città per infondere spettacolo non è un intuizione sempre vincente, soprattutto se rischia di farsi regola, così come non è vincente neppure ritoccare i piani temporali per andare a dribblare reboot macchinosi da escogitare.
Diciamo che le cose per gli X-Men andavano meglio prima, quando avevano ancora un significato ed un appeal e - citando Deadpool - si riusciva a capir meglio sia episodi che circostanze. Qualcosa che, tra incroci di casting vecchi e nuovi, ora, risulta un tantino più frastornante e disordinata.
Trailer:
E' il periodo delle rese dei conti, praticamente, al cinema, e se ci mettiamo di mezzo anche il "Batman v Superman: Dawn Of Justice" di Zack Snyder ci rendiamo conto che, forse, il caso non c'entra nulla, che tre indizi fanno una prova e che l'industria dei cinecomic ormai pare orientata a realizzare prodotti fracassoni, stracolmi di personaggi, con il solo scopo di sbizzarrirsi attraverso l'epica e una quantità inimmaginabile di effetti speciali, ponendo in secondo piano (se non in terzo) il fattore trama, una volta assai più rispettato e assistito (sebbene il progetto Marvel da questo punto di vista migliori di volta in volta). Le rampicate sugli specchi di "X-Men: Giorni Di Un Futuro Passato" sotto questo aspetto furono già un segnale piuttosto limpido, il sintomo di una politica disposta a qualsiasi cosa pur di muoversi dallo stallo in cui si era andata a cacciare, da non aver problemi a mancar di coerenza e a prendere in considerazione qualche dozzinale stratagemma, pur di rilanciare, di fatto, un franchise senza dover passare, però, attraverso il classico punto e capo di rito. Tutto per tirar fuori dal cilindro un reboot non ufficiale, che finge di continuare a far parte dello stesso universo, anche se, nel frattempo, tra un salto temporale e l'altro, accantona, magari definitivamente, il cast nativo, ringiovanendo ogni protagonista e rielaborando gli eventi in una maniera che non proprio tutti han digerito e che molto ha fatto discutere.
La linea - ormai palese - è quella di concentrarsi prevalentemente sulle possibilità proiettate da "X-Men: L'Inizio", cogliendo le varie opportunità sparpagliate e puntando la bussola verso destinazioni totalmente, o parzialmente, differenti. Peccato, tuttavia, che la cura dei personaggi, i loro conflitti interni e il bilanciamento scrupoloso degli script, che aveva fatto la fortuna specialmente dei primi due film di sedici anni fa, è già da parecchio tempo che non sembrano più abitare nella scuola dei mutanti presieduta dal Professor Xavier, e lo stesso vale per le imbeccate positive ed eleganti che era riuscito ad introdurre Matthew Vaughn, alimentando aspettative per qualcosa che, a quanto pare, procede a mancare di concretizzazione. L'impressione è che il timone sia passato in pianta stabile in mano alla major di riferimento, la quale pur avendo Brian Singer a disposizione, preferisce mantenere potere esecutivo e ultima parola, rincorrendo gli spunti avengersiani senza comunque averli ancora compresi veramente: sfornando, infine, prodotti con evidenti lacune (e spesso brutture) come nel caso, purtroppo, di "X-Men: Apocalisse".
Girare intorno allo stesso conflitto (aiutare gli umani oppure combattere la loro repulsione al diverso), sottraendosi, peraltro, all'opportunità di esaminarlo da punti di vista inediti o più ricercati, è una soluzione che di per sé non facilità la presa all'interno di una narrazione in cui a mancare, oltre alla coralità e allo spessore dei protagonisti, è persino la magnificenza di un villain capace di affascinare e di convincere. L'Apocalisse osannato dal titolo - interpretato da Oscar Isaac - infatti è grande, grosso, pressoché imbattibile, ma intimorisce più per l'aspetto che per la condotta, non riesce mai a prendersi tirannicamente la scena della pellicola e raramente ama esibire le sue facoltà, accontentandosi più dei panni comodi, ma spenti di reclutatore di guerrieri (o cavalieri).
Che tanto, l'importante, da come abbiamo capito, alla fine, è accumulare risorse e metterle contro, arrabbiarsi e distruggere, in quello che sta diventando l'epilogo standard di un genere che, a questo punto, se così fosse, sta perdendo progressivamente di senso e di valore. Polverizzare città per infondere spettacolo non è un intuizione sempre vincente, soprattutto se rischia di farsi regola, così come non è vincente neppure ritoccare i piani temporali per andare a dribblare reboot macchinosi da escogitare.
Diciamo che le cose per gli X-Men andavano meglio prima, quando avevano ancora un significato ed un appeal e - citando Deadpool - si riusciva a capir meglio sia episodi che circostanze. Qualcosa che, tra incroci di casting vecchi e nuovi, ora, risulta un tantino più frastornante e disordinata.
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