Eddie è un bambino scoordinato, porta occhiali con lenti enormi, ha un mento pronunciato e cammina con un tutore a una gamba per curare le sue ginocchia deboli. Nonostante ciò, passa giornate intere a praticare sport: non uno in particolare, salta di palo in frasca testando quante più discipline possibili con il sogno nel cassetto di intercettare il suo talento e poter partecipare, presto, alle Olimpiadi. La madre lo asseconda, il padre cerca di riportarlo, invece, coi piedi per terra, sgridandolo e indirizzandolo verso il concreto. Ma quando hai un figlio che non prova alcuna paura nel saltare con gli sci da metri e metri di altezza, è evidente che ogni tuo sforzo si tramuterà solo in fatica sprecata.
Della storia vera, biografica, estrapolata dalla vita dell'atleta britannico Eddie Edwards - che, nel 1988, alle Olimpiadi Invernali di Calgary, in Canada, passò al successo per essere stato il primo ad aver rappresentato il suo paese nella disciplina non tradizionale di salto con gli sci - al regista Dexter Fletcher e agli sceneggiatori Sean Macaulay e Simon Kelton affascina solo quel che ci sta dietro. O meglio, ciò che loro ci hanno visto dietro. Quanto ci sia di vero e quanto ci sia di inventato in "Eddie The Eagle: Il Coraggio Della Follia", infatti, non potremo mai saperlo davvero (se non per quel che dicono gli almanacchi sui risultati e i numeri raggiunti da Eddie nelle gare), che però una buona percentuale degli eventi sia stato romanzato per rendere il tutto cinematograficamente più esemplare e consistente è un dato di fatto evidente, percepibile ad occhio nudo, ma non per questo da classificare come nota negativa a sfavore. Il margine per lavorare di fantasia, del resto, c'era. Per scavare a fondo nella follia inarrestabile che spinge un ragazzo, sprovvisto di esperienza e insegnamenti alle spalle, a dedicarsi anima e corpo in uno sport sconosciuto (a lui e al suo paese), in cui per affermarti a livello agonistico, in ogni esibizione sembra che tu debba tentare di scongiurare un suicidio o l'eventuale rottura di un numero impreciso di ossa: costringendo chi guarda, specie gli affetti, a girare la faccia da un'altra parte o a pregare.
Perché, poi, diciamocelo, estirpata di quella follia, la pellicola di Fletcher non sarebbe stata altro che l'ennesima riproposizione della parabola trita e ritrita del non mollare mai i nostri sogni a prescindere da quanto essi siano complicati e da cosa dica il mondo a riguardo. Sempre nobile, per carità, ma comunque già appresa e messa in cassaforte a doppia mandata. L'unico modo per sorprendere allora era quello di alzare la posta, di mettere al centro qualcuno che non fosse il cosiddetto uomo comune, ma un brutto anatroccolo ripetutamente messo all'angolo che, ostinato, nonostante gli schiaffi, aspirasse ancora a trasformarsi in cigno. Ed è, probabilmente, maneggiando con cura questa leggera variazione sul tema che "Eddie The Eagle: Il Coraggio Della Follia" trova la forza per spiccare, emozionare e sedurre, con un protagonista a cui non interessa né vincere, né perdere, ma esclusivamente partecipare, provando la soddisfazione di sentirsi vivo dentro, di scrollarsi di dosso le voci di chi lo aveva respinto e di gridare in faccia al mondo che lo vedeva ai margini quanto, in realtà, si sbagliasse.
La rivalsa personale di un uomo costruita a metà, quindi, tra verità e finzione, capace di far commuovere, di far ridere e di far commuovere mentre si ride. Un meccanismo che, a quanto pare, Fletcher riesce ad architettare con una facilità e una frequenza stupefacenti, non scadendo in retoriche e rimanendo concentrato verso quello che, per lui, è un esordio assolutamente valido e privo di sbavature.
Trailer:
Della storia vera, biografica, estrapolata dalla vita dell'atleta britannico Eddie Edwards - che, nel 1988, alle Olimpiadi Invernali di Calgary, in Canada, passò al successo per essere stato il primo ad aver rappresentato il suo paese nella disciplina non tradizionale di salto con gli sci - al regista Dexter Fletcher e agli sceneggiatori Sean Macaulay e Simon Kelton affascina solo quel che ci sta dietro. O meglio, ciò che loro ci hanno visto dietro. Quanto ci sia di vero e quanto ci sia di inventato in "Eddie The Eagle: Il Coraggio Della Follia", infatti, non potremo mai saperlo davvero (se non per quel che dicono gli almanacchi sui risultati e i numeri raggiunti da Eddie nelle gare), che però una buona percentuale degli eventi sia stato romanzato per rendere il tutto cinematograficamente più esemplare e consistente è un dato di fatto evidente, percepibile ad occhio nudo, ma non per questo da classificare come nota negativa a sfavore. Il margine per lavorare di fantasia, del resto, c'era. Per scavare a fondo nella follia inarrestabile che spinge un ragazzo, sprovvisto di esperienza e insegnamenti alle spalle, a dedicarsi anima e corpo in uno sport sconosciuto (a lui e al suo paese), in cui per affermarti a livello agonistico, in ogni esibizione sembra che tu debba tentare di scongiurare un suicidio o l'eventuale rottura di un numero impreciso di ossa: costringendo chi guarda, specie gli affetti, a girare la faccia da un'altra parte o a pregare.
Perché, poi, diciamocelo, estirpata di quella follia, la pellicola di Fletcher non sarebbe stata altro che l'ennesima riproposizione della parabola trita e ritrita del non mollare mai i nostri sogni a prescindere da quanto essi siano complicati e da cosa dica il mondo a riguardo. Sempre nobile, per carità, ma comunque già appresa e messa in cassaforte a doppia mandata. L'unico modo per sorprendere allora era quello di alzare la posta, di mettere al centro qualcuno che non fosse il cosiddetto uomo comune, ma un brutto anatroccolo ripetutamente messo all'angolo che, ostinato, nonostante gli schiaffi, aspirasse ancora a trasformarsi in cigno. Ed è, probabilmente, maneggiando con cura questa leggera variazione sul tema che "Eddie The Eagle: Il Coraggio Della Follia" trova la forza per spiccare, emozionare e sedurre, con un protagonista a cui non interessa né vincere, né perdere, ma esclusivamente partecipare, provando la soddisfazione di sentirsi vivo dentro, di scrollarsi di dosso le voci di chi lo aveva respinto e di gridare in faccia al mondo che lo vedeva ai margini quanto, in realtà, si sbagliasse.
La rivalsa personale di un uomo costruita a metà, quindi, tra verità e finzione, capace di far commuovere, di far ridere e di far commuovere mentre si ride. Un meccanismo che, a quanto pare, Fletcher riesce ad architettare con una facilità e una frequenza stupefacenti, non scadendo in retoriche e rimanendo concentrato verso quello che, per lui, è un esordio assolutamente valido e privo di sbavature.
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