Tutti Vogliono Qualcosa - La Recensione

Da dove aveva lasciato, li, Richard Linklater decide di ripartire. Ovvero quel college che per il Mason Evans Jr. di "Boyhood" era stato punto di arrivo e che, adesso, per il Jake Bradford di "Tutti Vogliono Qualcosa" si fa punto di partenza, lo step successivo, fisiologico, di una vita, dentro al quale vanno a rimischiarsi le carte e a riformularsi le valutazioni sul tipo di uomo (o donna) che si è destinati a diventare.

Potrebbero essere l'uno il prolungamento dell'altro, infatti, i due protagonisti, se non fosse per i diversi interessi che li contraddistinguono e per l'epoca di ambientazione che li separa. Una barriera che, tuttavia, con un minimo di fantasia in più, non preclude affatto che nella testa di Linklater non possa esser così comunque: pur considerando l'appartenenza di Jake agli inizi degli anni '80 e la sua passione, non per la fotografia, bensì per il gioco del baseball (dove occupa il ruolo di lanciatore). Del resto le esperienze con le quali entrano in contatto sono assolutamente slegate dall'anno segnalato sul calendario, che può andare ad influire sulla musica, i vestiti e le macchine, magari, ma non sulla volontà di un ventenne di fare baldoria, divertirsi e spassarsela: rimorchiando più ragazze possibili e, in casi molto particolari, perdendo la testa per colei considerata "non come tutte le altre". Quel flusso esistenziale, quindi, che in "Boyhood" veniva disteso nell'arco di dodici anni, non cessa la sua cavalcata nonostante ora debba accontentarsi di uno spazio decisamente più piccolo e limitato, addirittura più corto della durata del college in generale, poiché ristretto nell'intervallo di tempo di un week-end ben preciso, che vede Jake mettere piede per la prima volta nella casa che lo ospiterà per la durata intera del suo nuovo percorso, accompagnandolo, gradualmente, verso l'esordio della sua prima lezione da universitario.

Insomma, cambiano gli anni, cambiano i rappresentati, cambiano i toni, eppure gli intenti restano sempre meticolosamente gli stessi. Linklater, in questo momento storico, ha una voglia matta di raccontare la vita, la vita di tutti, quella che abbiamo già vissuto o che vivremo. Ha una voglia matta di esaminarla, di ricostruirne l'essenza, di ripercorrerla forse, e, in "Tutti Vogliono Qualcosa", lavorando intelligentemente tra commedia e risate, riesce ad inquadrare con precisione disarmante la libertà, la passione, le paure e i sogni nel cassetto che appartengono al fulcro di una giovinezza da esercitare e celebrare a pieno, oltre qualsiasi regola o ostacolo ci venga fornito. Si tratta della giovinezza relativa all'ultimo step che divide dall'essere completamente, o teoricamente maturi, gli ultimi anni di studi in cui se non ti spari le cartucce che ti restano nel sacchetto, poi, in seguito, rischi di voltare pagina con qualche rimpianto o di non voltarla per niente apparendo ridicolo. Una lezione che sia Jake che i suoi compagni, tra cameratismi, scherzi, competizioni e screzi, non hanno alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire, ripassandola con estrema precisione, per filo e per segno, e dandoci dentro con party, musica, alcol, droghe e, chiaramente, sesso.

D'altronde nessuno di loro sa cosa gli riserverà il futuro. Molti possono sperare o aspettarsi che sia florido e brillante come quello che hanno in testa, ma l'unica certezza - come spesso si dice - è il presente, e lasciarselo sfuggire, sicuramente, non è un errore che vale la pena commettere. Linklater allora fa in modo che questo non accada, protegge i suoi protagonisti e gli regala l'inizio di college migliore che chiunque potrebbe desiderare, conquistando dolcemente anche il cuore di noi spettatori, che, di fronte a cotanta prospettiva e vivacità, all'entrata in scena dei titoli di coda, non possiamo fare altro che star fermi, col sorriso stampato in faccia, un po' dispiaciuti per la fine di un viaggio che avremmo voluto continuasse all'infinito.
Un viaggio che pochissimi registi hanno la sensibilità e l'abilità visiva di poter organizzare.

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