C'era una volta Jep Gambardella, essere notturno, spettatore di una Roma affascinante, quieta e agitata, a seconda delle ore della giornata; scrittore affermato e personaggio di spicco a tal punto da avere il potere di far fallire le feste a cui partecipa e che organizza nella sua terrazza di casa con vista Colosseo.
Niente da spartire con Maria David, insomma, key-holder per una piccola società di appartamenti che per Roma ci gira, ma per stare appresso alle prenotazioni dei turisti a cui affitta case, mentre tra un buco e l'altro ne approfitta per fare provini ed esercitazioni in teatro. Lei, in quell'universo gambardelliano, nonostante le brutture svelate, mira ad entrarci disperatamente, ma senza riuscirci. Vorrebbe fare l'attrice, infatti, ed è disposta a sbattersi più di chiunque altro per guadagnarne i meriti, non piegandosi mai ai ricatti di nessuno.
Glie lo diceva il padre, del resto, di non preoccuparsi e di stare tranquilla perché a lei ci avrebbe pensato lui: ma c'erano ancora le lire e di certo non poteva prevedere una morte prematura. La madre - che con l'euro ha praticamente perso tutto e non sa come rimediare - tuttavia, non è della stessa opinione del marito: vorrebbe che la figlia decidesse di sfruttare qualche situazione, che la smettesse di perdere tempo con ciò che non è pratico, perché è ancora una bella donna e, magari, qualcosa può sempre scapparci. Sta di fatto che pensare al rovesciamento de "La Grande Bellezza" mentre si assiste a "Maria Per Roma" è cosa lecita e per niente esagerata, esiste più di un sospetto, d'altronde, che nelle intenzioni della regista, sceneggiatrice e attrice, Karen Di Porto, ci fosse la volontà di rispondere a quel mondo, già cementato e annoiato, mostrato da Paolo Sorrentino, attraverso il racconto dell'altro lato - il povero - volto a mostrare le rincorse e la precarietà di una gioventù moderna che, pur calcando lo stesso terreno, quel mondo non l'ha mai assaggiato, tastato e vorrebbe quantomeno vedere se riuscirebbe a starci comodo. La capacità di catturare con le immagini, con i dialoghi, con la scorza di un protagonista cinico e verboso, che sa perfettamente dove muoversi e come difendersi, tuttavia, la Di Porto non ce l'ha, e non centra nulla il fatto che la sua Maria, in realtà, sia fragile, speranzosa e attaccata ai consigli paterni a prescindere, ma piuttosto centra che il suo modo di volersi proporre, di comunicare e di dire, è fin troppo secco e neorealista da risultare scontato e poco interessante.
Dice cose che sappiamo, "Maria Per Roma", esprime verità trite e ritrite, disagi concreti, replicando il cammino di chi Roma la vive, la conosce, la ama e la odia. In quei scenari, perciò, che il film di Sorrentino rubava rapidamente, seguendo con la telecamera quanto gli bastava, la Di Porto vuole portarci dentro, esplorarli da vicinissimo, nella tempistica di una giornata ordinaria, intera, in cui succede praticamente tutto e il contrario di tutto. Si fa in quattro la povera Maria, non rinuncia a inseguire la sua aspirazione, tanto quanto non intende rinunciare al suo cane, adattandosi alle regole, alle responsabilità e a quel minimo di stipendio fisso che, per alzare il più possibile, gli fa anche sacrificare una stanza della sua casa, arrangiandosi per una notte, magari, in uno di quegli appartamenti chic di cui detiene le chiavi. Un ritratto, quello composto dalla regista, che, con ogni crisma al seguito, cerca di dipingere le derive di una città ormai caotica e allo sbaraglio, popolata da gente, prevalentemente con un futuro da costruire, obbligata a vivere freneticamente e a combattere fino all'ultima lacrima pur di non abbandonare ciò che insegue.
Una città dove la speranza di salvarsi e di essere salvati ha completamente smesso di respirare, di esserci, così come prima o poi tutti noi smettiamo di lottare e di dannarci, mantenendo comunque - almeno secondo il Di Porto pensiero - il sorriso sulle labbra, rinfrancati dalla grande bellezza (dei ponti?) e consapevoli che si trattava di qualcosa di raggiungibile solo per pochi eletti.
Quei pochi eletti che Gambardella conosceva benissimo, frequentava e disprezzava e che Maria a malapena riuscirà a incontrare o a sapere come si chiamano.
Trailer:
NON DISPONIBILE
Niente da spartire con Maria David, insomma, key-holder per una piccola società di appartamenti che per Roma ci gira, ma per stare appresso alle prenotazioni dei turisti a cui affitta case, mentre tra un buco e l'altro ne approfitta per fare provini ed esercitazioni in teatro. Lei, in quell'universo gambardelliano, nonostante le brutture svelate, mira ad entrarci disperatamente, ma senza riuscirci. Vorrebbe fare l'attrice, infatti, ed è disposta a sbattersi più di chiunque altro per guadagnarne i meriti, non piegandosi mai ai ricatti di nessuno.
Glie lo diceva il padre, del resto, di non preoccuparsi e di stare tranquilla perché a lei ci avrebbe pensato lui: ma c'erano ancora le lire e di certo non poteva prevedere una morte prematura. La madre - che con l'euro ha praticamente perso tutto e non sa come rimediare - tuttavia, non è della stessa opinione del marito: vorrebbe che la figlia decidesse di sfruttare qualche situazione, che la smettesse di perdere tempo con ciò che non è pratico, perché è ancora una bella donna e, magari, qualcosa può sempre scapparci. Sta di fatto che pensare al rovesciamento de "La Grande Bellezza" mentre si assiste a "Maria Per Roma" è cosa lecita e per niente esagerata, esiste più di un sospetto, d'altronde, che nelle intenzioni della regista, sceneggiatrice e attrice, Karen Di Porto, ci fosse la volontà di rispondere a quel mondo, già cementato e annoiato, mostrato da Paolo Sorrentino, attraverso il racconto dell'altro lato - il povero - volto a mostrare le rincorse e la precarietà di una gioventù moderna che, pur calcando lo stesso terreno, quel mondo non l'ha mai assaggiato, tastato e vorrebbe quantomeno vedere se riuscirebbe a starci comodo. La capacità di catturare con le immagini, con i dialoghi, con la scorza di un protagonista cinico e verboso, che sa perfettamente dove muoversi e come difendersi, tuttavia, la Di Porto non ce l'ha, e non centra nulla il fatto che la sua Maria, in realtà, sia fragile, speranzosa e attaccata ai consigli paterni a prescindere, ma piuttosto centra che il suo modo di volersi proporre, di comunicare e di dire, è fin troppo secco e neorealista da risultare scontato e poco interessante.
Dice cose che sappiamo, "Maria Per Roma", esprime verità trite e ritrite, disagi concreti, replicando il cammino di chi Roma la vive, la conosce, la ama e la odia. In quei scenari, perciò, che il film di Sorrentino rubava rapidamente, seguendo con la telecamera quanto gli bastava, la Di Porto vuole portarci dentro, esplorarli da vicinissimo, nella tempistica di una giornata ordinaria, intera, in cui succede praticamente tutto e il contrario di tutto. Si fa in quattro la povera Maria, non rinuncia a inseguire la sua aspirazione, tanto quanto non intende rinunciare al suo cane, adattandosi alle regole, alle responsabilità e a quel minimo di stipendio fisso che, per alzare il più possibile, gli fa anche sacrificare una stanza della sua casa, arrangiandosi per una notte, magari, in uno di quegli appartamenti chic di cui detiene le chiavi. Un ritratto, quello composto dalla regista, che, con ogni crisma al seguito, cerca di dipingere le derive di una città ormai caotica e allo sbaraglio, popolata da gente, prevalentemente con un futuro da costruire, obbligata a vivere freneticamente e a combattere fino all'ultima lacrima pur di non abbandonare ciò che insegue.
Una città dove la speranza di salvarsi e di essere salvati ha completamente smesso di respirare, di esserci, così come prima o poi tutti noi smettiamo di lottare e di dannarci, mantenendo comunque - almeno secondo il Di Porto pensiero - il sorriso sulle labbra, rinfrancati dalla grande bellezza (dei ponti?) e consapevoli che si trattava di qualcosa di raggiungibile solo per pochi eletti.
Quei pochi eletti che Gambardella conosceva benissimo, frequentava e disprezzava e che Maria a malapena riuscirà a incontrare o a sapere come si chiamano.
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NON DISPONIBILE
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