Elle - La Recensione

A dieci anni dal suo ultimo lavoro Paul Verhoeven decide di tornare (a fare sul serio) dietro la macchina da presa dirigendo il libero adattamento del romanzo “Oh…” di Philippe Djian, con quella che è una sceneggiatura apparentemente ben scritta, rodata e fuori dagli schemi, ma nella quale erano seminati anche moltissimi crismi tipici del b-movie che il regista, con grande maestria, schiva elegantemente, in maniera per nulla scontata.

In principio afferma di essere un thriller il suo “Elle”: con Isabelle Huppert violentata nella prima scena che, senza l’aiuto della polizia - con la quale ha un conto in sospeso di brutte esperienze - decide di indagare sul suo aggressore - che nel frattempo continua a stalkerarla - per conto proprio, armandosi di spray e accette portatili in casa e incaricando un dipendente del suo ufficio di investigare illegalmente nei computer. Ci descrive una donna forte e risoluta Verhoeven, costantemente circondata da uomini che ama tenere sotto scacco, seducendoli all'occorrenza, quando ha voglia di soddisfare un capriccio, o provocandoli gratuitamente, se l’intento è quello di farli adirare. Un profilo assai ingarbugliato e perverso, nel quale certamente ha influito lo shock di un padre assassino, rinchiuso in carcere e arrestato davanti ai suoi occhi all'età di dieci anni, e una madre più attenta a mantenere sana la sua giovinezza con toy-boy e botox che a prendersi cura di lei a tempo debito. Tutti addendi che, inevitabilmente, vanno ad influire in ogni gesto e in ogni dettaglio di una storia dalle tinte ombrose e torbide, una storia dove ad ogni personaggio è concesso il lusso di dar voce al suo istinto e alle sue depravazioni, esplorando senza mezzi termini quel lato dark che ci appartiene un po’ a tutti e che nella maggior parte dei casi soffochiamo, accarezzandolo solo lontano da sguardi indiscreti.

Elle VerhoevenPrende la fisionomia di quel ritratto ipocrita della società che racconta, quindi, “Elle”, ponendo in secondo piano il giallo di fondo con cui aveva aperto le danze, al punto da risolverlo addirittura in netto anticipo rispetto alle tempistiche previste. Comunica di essere incuriosito più da altre dinamiche il suo regista, orbitanti ognuna nei dintorni di quella natura umana che fa da padrona e che muove scelte, errori e sensi di colpa coi quali, nonostante tutto - ci suggerisce - è maggiormente facile convivere piuttosto che ripudiarli e chiuderli nell'armadio. Bravi come siamo, oggi più di ieri, a indossare una faccia di gomma e a fingere che non ci siano problemi, che le cose andranno a posto, e che vale sempre la pena sporcarsi un po’ le mani se, in cambio, poi ci spetta quella sensazione di benessere assoluto che ci fa stare meglio e guadagnare persino un bel sorriso sulla faccia.

Con cinismo, lucidità e una manciata di ironia (nera, grottesca) cosparsa omogeneamente, Verhoeven firma, così, il suo ritorno sul grande schermo come meglio non avrebbe potuto, tirando fuori il massimo e qualcosa in più da un copione potenzialmente pieno di rischi e di trappole. In “Elle” c’è il suo stile, le sue ossessioni cinematografiche, i suoi vizi, le immoralità, ma anche uno schiaffo sincero alle nostre guance che ci ricorda lo scarto esistente che c'è tra ciò che siamo davvero e chi fingiamo di essere.

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