Rogue One: A Star Wars Story - La Recensione

Rogue One Poster
Tanto tempo fa, in una galassia lontana, lontana…
…non c’era ancora la musica entusiasmante e roboante e quel riassunto che sfumava all’insù tipico di “Star Wars”.
Ma, forse, è anche normale, perché “Rogue One: A Star Wars Story”, pur volendo ampliare il mito e l’epica della saga ideata da George Lucas, resta comunque uno spin-off dalla collocazione parallela e, come tale, ha il dovere di uscire e di allontanarsi da tutto ciò che riguarda Skywalker e famiglia (con riserva).

Non ci sono Jedi allora nella pellicola diretta da Gareth Edwards, così come non ci sono neppure Lightsaber di passaggio (tranne in una scena sola, che non a caso spicca ed eleva lo standard), finite in mani sbagliate: e questo perché quel suo volersi piazzare in mezzo tra “Star Wars: Episodio III – La Vendetta Dei Sith” e “Star Wars: Episodio IV: Una Nuova Speranza” gli impone di raccontare una storia che oltre a sapere tutti già come andrà a finire, è anche puro appannaggio dei ribelli e dei sacrifici fatti per recuperare quei famosi piani della Morte Nera che metteranno in moto, poi, Luke e compagnia bella per fermare Lord Vader e il suo Impero. Un operazione, dunque, in grande controtendenza rispetto a quella eseguita da J.J. Abrams con “Star Wars: Episodio VII – Il Risveglio Della Forza”, al quale, tra i grandi elogi, gli si imputava (giustamente) di non aver rischiato abbastanza e di aver ricalcato, pesante, uno scheletro già esistente (ma siamo fiduciosi per il futuro).
Ecco, tra i pregi maggiori di questo “Rogue One: A Star Wars Story”, invece, c’è sicuramente il non voler ricalcare nulla e il provare a fare di testa propria; il limitarsi a rispettare il modello di riferimento, senza la paura di doverlo andare a fotocopiare passo passo, mantenendo tuttavia quell'intelligenza di non perderlo mai di vista: e presentando, così, una protagonista muscolare, tosta e coraggiosa - come la Jyn Erso di Felicity Jones - che rispetto a chi la preceduta (compresa la Rey che temporalmente la succederà) ha origini leggermente simili, magari, ma comunque slegate e non uguali. Premesse positive, di buon auspicio per qualcosa che voleva affacciarsi come completamente nuova ed originale, sebbene stroncate prematuramente a causa di una personalità e di un carisma che non permettono al lavoro di Edwards di assemblare quel carattere dominante che, in questo caso, andava ad assumere un valore addirittura superiore rispetto al passato: potendo contare solo sullo spessore e l’appeal dei personaggi principali, qui per niente all'altezza, per intenderci, di un Han Solo o del più abbordabile, se vogliamo, Poe Dameron di Oscar Isaac.

Rogue One Felicity JonesFondamentalmente è un war-movie il suo, ovviamente di fantascienza, che però con la saga di Lucas sembra relazionarsi a intermittenza: il che non deve essere per forza sinonimo di difetto, sia chiaro, ma lo diventa nel momento in cui la sceneggiatura, comincia a mostrare le sue falle e a non poterle tappare con quelle furbate che ad Abrams, per esempio, avevano salvato la pelle e non solo. Convince più nella prima parte, quindi, “Rogue One: A Star Wars Story”, nella formazione di una squadra improbabile, composta da chi ha perso tutto (non solo affetti) e ha necessità di riscattare una vita che lo ha costretto suo malgrado a sporcarsi le mani, la mente e l’anima. Una squadra su cui Edwards poteva zoommare ulteriormente e instaurare rapporti più profondi, prima di allestirsi il territorio e concedersi al classico attacco spettacolare del terzo atto dove probabilmente guarda in eccesso ai blockbuster moderni e si abbandona fin troppo al caos e alla confusione. Una squadra a cui, con dispiacere, si finisce col non legarsi e per la quale si tifa esclusivamente pensando al loro schieramento e a coloro che verranno dopo: che ingiustamente, ma non (solo) per colpa nostra, continuiamo a cercare tra la folla e tra i risvolti, proprio perché orfani di un temperamento, un pathos e un’ironia che, sinceramente, pesano e fanno sentire la mancanza.

Troppa testa e poca passione. Paga questo il primo spin-off di Star Wars.
Una saga che all'intrattenimento – che qui c’è e non è assolutamente di basso livello, anzi – ha sempre messo avanti il cuore, l’umanità, l’avventura, componenti che in “Rogue One: A Star Wars Story” fanno al massimo capolino, tritati da una rapidità e da motivazioni non paragonabili agli standard. Insomma, la sensazione è che sia stato un film realizzato più per forza (e non nel senso buono) che per altro; che il compromesso adeguato per scavalcare totalmente le mura cementate da Lucas sia ancora da rivedere, se non per giunta da mollare, poiché con la sua saga mettere d’accordo tutti è impossibile o poco ci manca.
Una cosa è certa, però, la speranza è l’ultima a morire (e non lo diciamo a caso), e alla Disney non passa nemmeno per l’anticamera del cervello di mettere in freezer l’acquisto del suo ultimo franchise. Per cui, tra una galassia lontana, lontana e l’altra, è probabile che, in futuro, eredi degni della famiglia Skywalker possano palesarsi e riscuotere finalmente quel plebiscito che ora appare disperso, disperso nei meandri dello spazio.

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