Arrival - La Recensione

Arrival Film
In tutta onestà, tra il sottoscritto e il cinema di Denis Villeneuve non scorre buon sangue.
Personalmente considero il canadese un regista bravissimo visivamente, ma un tantino furbo quando c’è da fornire trazione e sostanza alla narrazione, manipolata spesso con fare ricattatorio o per provocare lo spettatore, oppure per il semplice bisogno primario di andare a muovere la storia verso quella che dovrà essere la sua curva o la sua meta conclusiva.
Un vizio che a mio avviso va a togliere inevitabilmente genuinità alle sue opere, e da cui neppure “Arrival” riesce ad essere completamente esonerato, sebbene rispetto al passato c’è da ammettere che stavolta la situazione appare assai più smussata e sostenibile del previsto.

Affronta per la prima volta la fantascienza, il regista, prendendo spunto da uno dei racconti inclusi nell'antologia di Ted Chiang - intitolata “Storie Della Tua Vita” - e frugando tra le influenze più significative della sua memoria e del cinema: che lo portano inevitabilmente a considerare il fascino dei grandi classici del genere e a catturare, ristrutturandolo, l’immaginario spielbergiano presente in “Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo”. Anche qui, come nella maggior parte dei casi in cui a prevalere non debba essere per forza l’azione, allora l’esperimento prioritario è quello di comunicare con la nuova specie, capire che intenzioni hanno, se sono venuti in pace o per sterminare la razza umana. E a rispondere a questa domanda dovrà essere la linguista Amy Adams che, ingaggiata ed affiancata dai militari americani e dallo scienziato Jeremy Renner, non si affiderà alle famose note musicali che furono, ma troverà il modo di scambiare informazioni con loro attraverso l’aiuto della scrittura, rappresentata nel caso specifico da disegni circolari a forma di anelli di inchiostro sbavato, contenenti al loro interno non delle parole singole, ma dei significati veri e propri, totalmente da decifrare.

Arrival FilmCrea un’atmosfera di tensione idonea a difendere a lungo il clima di paura e sospetto posto alla base, Villeneuve, il quale non rinuncia alla sua furbizia, ma perfeziona la maniera con cui servirsene, guadagnandone in stabilità e gradevolezza. Allo stesso modo di come la Storia recente ci insegna, sceglie di adoperare la fantascienza contaminandola con spiegazioni scientifiche ricercate, ma soprattutto con la filosofia, appesantendo forse un tantino gli obiettivi da raggiungere e ridimensionando la portata di uno script che dalla sua poteva senz'altro avere delle risonanze maggiori. Nel complesso, tuttavia, è un prodotto ben riuscito, “Arrival”, con grandissime idee registiche ed estetiche da sbandierare e un espediente interessante applicato lungo il suo piano temporale, che seppur non effettivamente sconcertante sotto l’aspetto delle emozioni, sa come spiazzare lo spettatore, costringendolo ad una inaspettata rilettura.
Rilettura che, per certi versi, ci aspettavamo Villeneuve volesse apportare anche al genere, che invece ha preferito accarezzare e solleticare senza prendersi la responsabilità di smontare e rimontare a sua immagine e somiglianza.

Operazione misurata della quale a noi, comunque, piace vedere specialmente i lati positivi, come l’abilità con cui il regista ha saputo controllare alcuni di quelli che vengono considerati, a volte, suoi difetti, mettendosi quasi incondizionatamente al servizio di una pellicola che fa il suo dovere, pur non toccando mai vette altissime, di carattere indimenticabile. Vette tenute al caldo, probabilmente, per essere impiegate, speriamo, in quello che dovrà essere il suo secondo film di fantascienza, ovvero l’attesissimo sequel di “Blade Runner” che a questo punto potrebbe essere fondamentale pure per capire se tra il sottoscritto e Villeneuve possano esserci gli estremi per un definitivo riavvicinamento.
Ma questa, come si dice in certi casi, è un’altra storia e peraltro assai meno interessante.

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