Su una cosa non ci piove: ogni volta che McDonald’s diventa argomento cinematografico gli piove merda addosso. Nel 2004 il documentarista Morgan Spurlock aveva fatto luce su quanto il suo cibo - o quello dei fast-food in generale - potesse nuocere al nostro organismo se consumato senza un freno: allarmando i clienti abituali e minando gli affari della multinazionale americana. Un focus scomodo, complicato da gestire, eppure nulla in confronto a quello eseguito, ora, dal regista John Lee Hancock: che partendo dagli antipodi - ovvero da quando ancora McDonald’s era solamente un chiosco a carattere famigliare - racconta la scalata verso il franchise mondiale che è diventato, trascinato dall’ambizione e dalla spietatezza di un uomo - il venditore ambulante Ray Kroc - che sicuramente, a conoscerlo meglio, in quanto a simpatia e umanità, non sarà d’aiuto alla fortuna del marchio contraddistinto dal doppio arco dorato.
Se gli chiedete come ha fatto, lui, un uomo di cinquantadue anni commerciante fallito di frullatori, a diventare il fondatore di tale Impero, guardandovi in faccia, con le fattezze di uno straordinario Michael Keaton, ecco che vi risponderà con una sola parola: perseveranza. Come lui stesso ammette, infatti, non c’è genio dietro una conquista avvenuta più che altro attraverso un atteggiamento da avvoltoio, da lupo nel pollaio, per utilizzare la metafora calzante dei fratelli McDonald, Dick e Mac: loro sì, particolarmente geniali a inventare dal nulla una formula vincente che permettesse a chiunque di ordinare un pasto in circa trenta secondi, abbattendo lo standard dei trenta minuti, tipico degli altri ristoranti. Perché in principio era al 100% dei due campagnoli di San Bernardino la società che ha visto Kroc, prima diventare associato e poi, di prepotenza, proprietario unico con diritti totali sul marchio. Una scalata giuridicamente e sulla carta, impossibile (c’era un pre-contratto chiarissimo), ma avvenuta ugualmente per questioni di prospettive e proporzioni di un sogno, quello americano, che, se da una parte esisteva, ma con dimensioni logiche e contenute, dall’altra straripava avido e implacabile come unico amore e obiettivo di vita.
Del resto la storia raccontata da Hancock si svolge in piena globalizzazione, con una mentalità capitalista posta a sostegno all’apice della forma e della salute (siamo nell’America degli anni ’50), e laddove c’era gente che non vedeva l’ora di smaltire la fila per ordinare un pasto veloce e rimettersi immediatamente in viaggio per lavoro, c'era anche chi, affamato d’investimenti, era alla ricerca di affari e non chiedeva altro che una bella gallina dalle uova d'oro da poter spennare: due lati opposti della medesima medaglia, in pratica. Così, nella pellicola scritta da Robert D. Siegel, la figura di McDonald’s più che un carattere di tipo biografico (che non è assunto neppure dal Kroc di Keaton) assume, gioco forza, il ruolo fondamentale e cruciale di simbolo cardine di un sistema economico in espansione, ne diventa benzina e contemporaneamente meta, mostrandoci la genesi di quella mentalità etica e morale, diventata poi, negli anni a venire, causa e conseguenza del cataclisma finanziario che stiamo vivendo.
Perché in qualche modo Kroc di quella malvagità, prevaricazione e agio nell'approfittarsi e maltrattare i più deboli ne è stato il prototipo sperimentale, replicato, in base al successo raggiunto, da chiunque sia venuto dopo e abbia provato a seguirne sia orme che scia. Questo pur non riuscendo a trovare sempre stessa fortuna e talento, ma rilasciando nell'aria solamente agenti chimici nocivi, per il territorio e per coloro che lo abitavano.
Trailer:
Se gli chiedete come ha fatto, lui, un uomo di cinquantadue anni commerciante fallito di frullatori, a diventare il fondatore di tale Impero, guardandovi in faccia, con le fattezze di uno straordinario Michael Keaton, ecco che vi risponderà con una sola parola: perseveranza. Come lui stesso ammette, infatti, non c’è genio dietro una conquista avvenuta più che altro attraverso un atteggiamento da avvoltoio, da lupo nel pollaio, per utilizzare la metafora calzante dei fratelli McDonald, Dick e Mac: loro sì, particolarmente geniali a inventare dal nulla una formula vincente che permettesse a chiunque di ordinare un pasto in circa trenta secondi, abbattendo lo standard dei trenta minuti, tipico degli altri ristoranti. Perché in principio era al 100% dei due campagnoli di San Bernardino la società che ha visto Kroc, prima diventare associato e poi, di prepotenza, proprietario unico con diritti totali sul marchio. Una scalata giuridicamente e sulla carta, impossibile (c’era un pre-contratto chiarissimo), ma avvenuta ugualmente per questioni di prospettive e proporzioni di un sogno, quello americano, che, se da una parte esisteva, ma con dimensioni logiche e contenute, dall’altra straripava avido e implacabile come unico amore e obiettivo di vita.
Del resto la storia raccontata da Hancock si svolge in piena globalizzazione, con una mentalità capitalista posta a sostegno all’apice della forma e della salute (siamo nell’America degli anni ’50), e laddove c’era gente che non vedeva l’ora di smaltire la fila per ordinare un pasto veloce e rimettersi immediatamente in viaggio per lavoro, c'era anche chi, affamato d’investimenti, era alla ricerca di affari e non chiedeva altro che una bella gallina dalle uova d'oro da poter spennare: due lati opposti della medesima medaglia, in pratica. Così, nella pellicola scritta da Robert D. Siegel, la figura di McDonald’s più che un carattere di tipo biografico (che non è assunto neppure dal Kroc di Keaton) assume, gioco forza, il ruolo fondamentale e cruciale di simbolo cardine di un sistema economico in espansione, ne diventa benzina e contemporaneamente meta, mostrandoci la genesi di quella mentalità etica e morale, diventata poi, negli anni a venire, causa e conseguenza del cataclisma finanziario che stiamo vivendo.
Perché in qualche modo Kroc di quella malvagità, prevaricazione e agio nell'approfittarsi e maltrattare i più deboli ne è stato il prototipo sperimentale, replicato, in base al successo raggiunto, da chiunque sia venuto dopo e abbia provato a seguirne sia orme che scia. Questo pur non riuscendo a trovare sempre stessa fortuna e talento, ma rilasciando nell'aria solamente agenti chimici nocivi, per il territorio e per coloro che lo abitavano.
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