Richard e Mildred Loving sono una coppia realmente esistita, così come realmente esistita è la loro drammatica storia portata sul grande schermo dal regista e sceneggiatore Jeff Nichols. Coppia interrazziale – lui bianco, lei nera - nella Virginia segregazionista del 1958, i due furono costretti a lasciare il paese, pena l’incarcerazione, a causa di un matrimonio celebrato di nascosto e scoperto dallo Stato. Dopo i tentativi faticosi di ristabilire le loro vite lontano dalle famiglie, in città, con tre figli da accudire, i due però presero la palla al balzo lanciata da Robert Kennedy e con l’aiuto di un’associazione per i diritti civili decisero di querelare chi li aveva ingiustamente cacciati via, tentando causa allo Stato della Virgnia per tornare a casa serenamente e senza paura.
Ce li racconta da vicino allora Nichols, non tanto nella loro battaglia legale, che in “Loving” occupa solamente un minuscolo spazio, quanto nella sofferenza e nell’amore profondo, quello che li spinge a violare regole rigide e conosciute e che li mantiene uniti nonostante tutto: nonostante gli sguardi di disapprovazione che arrivano sia dalla parte dei bianchi e sia da quella dei neri. Perché se esisteva chi non riusciva a concepire un matrimonio misto a causa del principio d’inferiorità che conservava nei confronti della popolazione di colore, esisteva pure chi non accettava un bianco che provava a prendersi le ingiustizie dei neri avendo dalla sua una scappatoia risolutiva chiamata divorzio. Astio a destra e astio a sinistra quindi per i Loving, sebbene nel ritratto stazionario di Nichols non risulti alcun carico da undici appartenente a violenze di terzi tentate per intimorire ulteriormente i due coniugi (tolta qualche minaccia innocua), per i quali la salita verso la giustizia e la pace emerge ripida e complessa, alla stregua di altre storie già portate al cinema e aventi per denominatore la stessa tematica.
Tolta l’operazione d’informazione - quella di una pagina importante nella lotta contro la discriminazione razziale che valeva la pena denunciare - infatti aggiunge poco alla sfruttatissima causa il film di Nichols, che come nelle sue ultime uscite pecca d’immobilismo, nei confronti di una trama che più avanza e più intorpidisce i suoi movimenti, non trovando sbocchi originali e illudendosi di poter portare a casa i suoi frutti unicamente stando attaccata alle pene e alle caratterizzazioni elaborate dai suoi protagonisti. Non che il Richard di Joel Edgerton manchi di suscitare impressioni, per carità, il lavoro dell’attore sul movimento del corpo e sul corpo stesso è apprezzabile ed evidente, meglio sicuramente della Mildred di Ruth Negga, a cui tocca lavorare troppo in sottrazione, sfiorando una piattezza che non la rende esattamente calorosa ed incisiva.
Insieme di dettagli che tuttavia non risulta mai abbastanza, probabilmente per colpa degli effetti collaterali di una pellicola che - e spiace ripeterci - procede come tante altre nell'aggrapparsi ad una tematica sempre d'attualità, ma con la tradizionale condotta di chi crede che ancora basti ribadire l'evidenza e basta. A "Loving" purtroppo manca un proposito da mettere al centro, che poteva anche essere quello semplice ed emozionante della storia d'amore, piuttosto che quello legale e colmo di ostacoli che volontariamente lascia ai margini. Questo perché il limitarsi a dire che il razzismo è disumano, oggi come oggi, è diventato un sport troppo in voga e fine a sé stesso.
Uno sport che se vuoi praticare, devi quantomeno saper rinnovare e rimodellare rendendolo costruttivo.
Trailer:
Ce li racconta da vicino allora Nichols, non tanto nella loro battaglia legale, che in “Loving” occupa solamente un minuscolo spazio, quanto nella sofferenza e nell’amore profondo, quello che li spinge a violare regole rigide e conosciute e che li mantiene uniti nonostante tutto: nonostante gli sguardi di disapprovazione che arrivano sia dalla parte dei bianchi e sia da quella dei neri. Perché se esisteva chi non riusciva a concepire un matrimonio misto a causa del principio d’inferiorità che conservava nei confronti della popolazione di colore, esisteva pure chi non accettava un bianco che provava a prendersi le ingiustizie dei neri avendo dalla sua una scappatoia risolutiva chiamata divorzio. Astio a destra e astio a sinistra quindi per i Loving, sebbene nel ritratto stazionario di Nichols non risulti alcun carico da undici appartenente a violenze di terzi tentate per intimorire ulteriormente i due coniugi (tolta qualche minaccia innocua), per i quali la salita verso la giustizia e la pace emerge ripida e complessa, alla stregua di altre storie già portate al cinema e aventi per denominatore la stessa tematica.
Tolta l’operazione d’informazione - quella di una pagina importante nella lotta contro la discriminazione razziale che valeva la pena denunciare - infatti aggiunge poco alla sfruttatissima causa il film di Nichols, che come nelle sue ultime uscite pecca d’immobilismo, nei confronti di una trama che più avanza e più intorpidisce i suoi movimenti, non trovando sbocchi originali e illudendosi di poter portare a casa i suoi frutti unicamente stando attaccata alle pene e alle caratterizzazioni elaborate dai suoi protagonisti. Non che il Richard di Joel Edgerton manchi di suscitare impressioni, per carità, il lavoro dell’attore sul movimento del corpo e sul corpo stesso è apprezzabile ed evidente, meglio sicuramente della Mildred di Ruth Negga, a cui tocca lavorare troppo in sottrazione, sfiorando una piattezza che non la rende esattamente calorosa ed incisiva.
Insieme di dettagli che tuttavia non risulta mai abbastanza, probabilmente per colpa degli effetti collaterali di una pellicola che - e spiace ripeterci - procede come tante altre nell'aggrapparsi ad una tematica sempre d'attualità, ma con la tradizionale condotta di chi crede che ancora basti ribadire l'evidenza e basta. A "Loving" purtroppo manca un proposito da mettere al centro, che poteva anche essere quello semplice ed emozionante della storia d'amore, piuttosto che quello legale e colmo di ostacoli che volontariamente lascia ai margini. Questo perché il limitarsi a dire che il razzismo è disumano, oggi come oggi, è diventato un sport troppo in voga e fine a sé stesso.
Uno sport che se vuoi praticare, devi quantomeno saper rinnovare e rimodellare rendendolo costruttivo.
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