La sensazione è che ci sia stato un momento in cui alla Warner Bros. qualcuno abbia finalmente detto: “Ok, fermiamoci un attimo e ragioniamo”. Qualcuno stanco di leggere sempre le stesse critiche, di veder commessi sempre gli stessi errori, di mostrare il fianco sapendo di farlo e di realizzare cine-comic con la superficialità di pensiero che “tanto il pubblico odierno si mangia tutto”. Il che è una verità, sostanzialmente, ma una verità vera fino a un certo punto, perché se tu a quel pubblico che si mangia tutto gli rifili una pietanza indigesta, pesante e senza sapore, poi succede che nel tuo ristorante lui può tornarci una volta, due al massimo, se è testardo, ma alla fine si stanca e ti abbandona per la (forte) concorrenza.
Il pubblico interessato a questo genere di film infatti è dotato di una lama a doppio taglio: ci vuole poco per comprarlo e ci vuole poco per farlo sentire tradito. Cosa che non intende fare però “Wonder Woman”, il primo prodotto firmato Warner/DC Comics dotato di un taglio assai prudente, onesto e convenzionale, che proprio servendosi di tali caratteristiche ha intenzione di porre le basi per uno spettacolo a basso rischio di fallimento e ad alto numero di certezze. Ricorda un po’ quei film appartenenti alla fase-uno Marvel quello diretto da Patty Jenkins, con prologhi simili a spiegoni un po' noiosetti e lunghi, ma utili a mettere le cose in chiaro, ed epiloghi scontati, tutti botte ed esplosioni, che aderiscono allo standard ormai definitivo del genere, a quanto pare apprezzato dai fan. Tuttavia è nel mezzo che, rispetto ai suoi predecessori viene evidenziata una differenza netta, in tutta quella parte più sviluppata e rifinita, dove con l'entrata in scena di Chris Pine al fianco della principessa delle Amazzoni, Gal Gadot, il carattere e lo spessore dei personaggi e della storia riesce ad emergere con grande chiarezza, tessendo intrecci sentimentali e umoristici coinvolgenti e piacevoli.
E' in quello spaccato che "Wonder Woman", non a caso, riesce a cogliere al massimo il suo spirito fumettistico, a mettere a confronto l'unione di due mondi diversissimi come quello reale, abitato dagli esseri umani, e quello nascosto nella campana di vetro in cui vive e si esercita Diana. Due mondi appartenenti allo stesso globo, eppure capaci di non vedersi se non per pura casualità, dove se da un lato a far da padrona c'è la mitologia greca, dall'altro, a comandare, è il cinismo dettato dalla Prima Guerra Mondiale, dalla malignità dei tedeschi e dalle vittime innocenti che non cessano di aumentare. A venirne fuori è uno scontro di vedute e di intenzioni assurdo e irresistibile, in cui la Jenkins tira fuori il meglio del copione che ha tra le mani, divertendosi ad esaltare e a scherzare con la bellezza dei suoi protagonisti - entrambi oggettivamente sopra la media, citando una battuta del film - senza dimenticarsi di valorizzare quel girl power - che in un franchise come questo è praticamente telefonato - prima a voce, con uno scambio di battute frizzante e irriverente, e poi in azione, sul fangoso campo di battaglia.
Così si ride in più di un'occasione a vedere questa super-eroina, che a volte rievoca Xena, comportarsi come una vera e propria matta per le strade fumose di Londra, mentre cerca di contenere il suo desiderio di combattere, mettendocela tutta per confondersi e imparare gli usi e i costumi della gente comune. Gente comune che, andando avanti, scoprirà non essere, forse, interessante e degna abbastanza della sua passione come delle sue imprese da Dea, in quello che probabilmente è il meccanismo meno riuscito e più retorico di una sceneggiatura e di un prodotto che comunque, nonostante tutto, fa notare dei promettenti passi in avanti per quanto riguarda l'universo DC Comics in terra cinematografica.
Trailer:
Il pubblico interessato a questo genere di film infatti è dotato di una lama a doppio taglio: ci vuole poco per comprarlo e ci vuole poco per farlo sentire tradito. Cosa che non intende fare però “Wonder Woman”, il primo prodotto firmato Warner/DC Comics dotato di un taglio assai prudente, onesto e convenzionale, che proprio servendosi di tali caratteristiche ha intenzione di porre le basi per uno spettacolo a basso rischio di fallimento e ad alto numero di certezze. Ricorda un po’ quei film appartenenti alla fase-uno Marvel quello diretto da Patty Jenkins, con prologhi simili a spiegoni un po' noiosetti e lunghi, ma utili a mettere le cose in chiaro, ed epiloghi scontati, tutti botte ed esplosioni, che aderiscono allo standard ormai definitivo del genere, a quanto pare apprezzato dai fan. Tuttavia è nel mezzo che, rispetto ai suoi predecessori viene evidenziata una differenza netta, in tutta quella parte più sviluppata e rifinita, dove con l'entrata in scena di Chris Pine al fianco della principessa delle Amazzoni, Gal Gadot, il carattere e lo spessore dei personaggi e della storia riesce ad emergere con grande chiarezza, tessendo intrecci sentimentali e umoristici coinvolgenti e piacevoli.
E' in quello spaccato che "Wonder Woman", non a caso, riesce a cogliere al massimo il suo spirito fumettistico, a mettere a confronto l'unione di due mondi diversissimi come quello reale, abitato dagli esseri umani, e quello nascosto nella campana di vetro in cui vive e si esercita Diana. Due mondi appartenenti allo stesso globo, eppure capaci di non vedersi se non per pura casualità, dove se da un lato a far da padrona c'è la mitologia greca, dall'altro, a comandare, è il cinismo dettato dalla Prima Guerra Mondiale, dalla malignità dei tedeschi e dalle vittime innocenti che non cessano di aumentare. A venirne fuori è uno scontro di vedute e di intenzioni assurdo e irresistibile, in cui la Jenkins tira fuori il meglio del copione che ha tra le mani, divertendosi ad esaltare e a scherzare con la bellezza dei suoi protagonisti - entrambi oggettivamente sopra la media, citando una battuta del film - senza dimenticarsi di valorizzare quel girl power - che in un franchise come questo è praticamente telefonato - prima a voce, con uno scambio di battute frizzante e irriverente, e poi in azione, sul fangoso campo di battaglia.
Così si ride in più di un'occasione a vedere questa super-eroina, che a volte rievoca Xena, comportarsi come una vera e propria matta per le strade fumose di Londra, mentre cerca di contenere il suo desiderio di combattere, mettendocela tutta per confondersi e imparare gli usi e i costumi della gente comune. Gente comune che, andando avanti, scoprirà non essere, forse, interessante e degna abbastanza della sua passione come delle sue imprese da Dea, in quello che probabilmente è il meccanismo meno riuscito e più retorico di una sceneggiatura e di un prodotto che comunque, nonostante tutto, fa notare dei promettenti passi in avanti per quanto riguarda l'universo DC Comics in terra cinematografica.
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