Codice Criminale - La Recensione

Codice Criminale Fassbender
Poteva essere una di quelle storie di poco interesse “Codice Criminale”, aggrappate a svelare allo spettatore lo stile di vita delle famiglie nomadi appartenenti alla campagna irlandese o a quella britannica (altrimenti detti Pavee), il loro agire fregandosene di ogni regola e conseguenza, con lo specchietto per le allodole rappresentato da un Michael Fassbender sempre in vena di scoprirsi il petto e di ostentare la sua virilità. Un rischio che in principio doveva essere totale, perché quando lo sceneggiatore Alastair Siddons lesse di queste famiglie su di un articolo di giornale, la volontà era quella di realizzarne un documentario, salvo poi rifletterci meglio e intuire che forse l’operazione avrebbe avuto assai più efficacia se fosse stata rielaborata a dovere in un lungometraggio di finzione.

Meno male, verrebbe da dire a questo punto. E meno male che dietro la macchina da presa è stato chiamato un regista al suo primo lungometraggio, ma con grande intelligenza ed esperienza alle spalle come Adam Smith. La collaborazione tra i due è probabilmente il processo maggiormente positivo e salvifico di “Codice Criminale”, che comincia dando l’impressione di voler essere la classica storiella scontata su delinquenza e giustizia determinati a battersi ad armi pari e senza esclusione di colpi, per poi sterzare su tematiche differenti, relative a rapporti padre-figlio, apparentemente confinati al contesto, eppure non strettamente legati ad esso. Se è vero infatti che tra il Chad di Fassbender e suo padre Brendan Gleeson c’è un legame del tutto particolare, che risente di un’educazione selvaggia, estranea alle scuole e dedita alla sopravvivenza e al branco (con il più anziano a dominare prepotentemente sulla prole), lo stesso non si può dire di quello instaurato tra Chad e suo figlio Tyson: allevato anche lui secondo la libertà e la sfrontatezza della comunità di appartenenza, ma per il quale si sta cercando sottotraccia di costruire un futuro migliore, non proprio estraneo a quel mondo anarchico, ma al sicuro dai gravi rischi che suo malgrado lo circondano di continuo.

Codice Criminale SmithIn questo senso allora la storia di “Codice Criminale” si fa, in parte, universale, non esce mai davvero e totalmente dal suo rifugio, ma ciò non gli impedisce di andare a solleticare riflessioni capaci di toccare trasversalmente ogni genere di spettatore all'ascolto. Spettatore che poi, dall'altra parte, viene coinvolto anche all'interno di uno spettacolo adrenalinico e divertente, immerso in questo mondo atipico, folle e piantato ai margini che Smith cerca, con successo, di replicare nella maniera più vivida e diretta possibile, aiutandosi con sequenze, spesso girate in camera a mano, in cui ci fa vedere all'opera i suoi protagonisti sia nel pieno della loro filosofia ricreativa e sia in quella incatenata e incline alla sopravvivenza.

Così facendo lo spunto catturato da Siddons diventa in qualche modo il traino di un film piacevole da vedere, con una struttura energica e solida che lo aiuta a non accartocciarsi su sé stesso e a distinguersi da quella massa composta in scala a cui, probabilmente, rischiava di fare parte. Le mosse giuste e oculate messe in atto gli permettono di poter alzare un tantino la voce, non proclamandosi outsider degno di chissà quale nota, ma perlomeno riuscendo a guadagnarsi il rispetto minimo che cercava e che, forse, gli serviva.

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