Detroit - La Recensione

Detroit Poster Film
Sulle prime da’ l’impressione di voler essere un documentario, “Detroit”, una ricostruzione piuttosto fedele di quei raid che, nel 1967, portarono scompiglio e distruzione all’interno della città degli States, a causa della rivolta degli afro-americani che accusavano la polizia locale di non rispettare i loro diritti civili. Questo perché il film di Kathryn Bigelow si apre, si, con una scena di finzione, ambientata all’interno del locale dove tutto ebbe inizio, ma poi comincia ad inserire immagini e filmati di repertorio, alternandoli ad altri, ricostruiti, mischiando un tantino le carte su quale sia il vero punto d’interesse e obiettivo drammatico.
Risposta che arriverà, puntuale, dopo circa un’ora.

Serve questo, grossomodo, per entrare con tutta la testa in una storia dalla quale poi si uscirà a fatica, per cominciare a incanalare rabbia, tensione, e sentirsi a metà tra chi è incollato alla poltrona, consapevole di ciò che sta facendo, e chi vorrebbe saltare al collo di quegli agenti di polizia che, nel famoso Motel Algiers, diedero espressione massima del loro razzismo e del loro abuso di potere. Un episodio che ancora oggi rimane vagamente impunito e colmo di ombre, ricostruito dalla Bigelow secondo testimonianze e documentazioni (attendibili) raccolte, ma che allo stesso tempo è doveroso catalogare come romanzato: poiché ufficialmente e giuridicamente, mai castigato davvero. Certo è che se la giustizia ha preferito non fare chiarezza, ammorbidire la situazione, o valutare i fatti secondo un certo tipo di dinamiche (e a dircelo è il film stesso), guardando lo schermo tutto appare assai più evidente e nitido, palese, praticamente uno schieramento netto che la regista, è probabile, abbia sentito quasi il dovere morale di fare, una volta eseguite le sue ricerche e valutati gli indizi.
Una condizione che mette ancora più in difficoltà lo spettatore, perché una volta appurato l’effettivo stato delle cose, la libertà artistica presa in prestito e le altre informazioni ricevute, diventa davvero difficile instradare senza riserve tutta la collera accumulata nel corso della visione.

Detroit 2017Che poi la Bigelow è brava (furba?), capace, sa qual è il modo migliore per abbattere la quarta parete e far sentire lo spettatore dentro la vicenda. Non a caso mano mano che ci si avvicina al momento fondamentale la sua regia cambia, le distanze si accorciano, la camera a mano diventa protagonista e, con lei, quei primi piani che mostrano senza filtri i volti (e gli sguardi) esaltati dei tre poliziotti fuori di testa e quelli impauriti dei neri messi faccia al muro e costretti a partecipare ad un gioco al massacro, tipico dei sadici, scatenato peraltro da uno stupido scherzo figlio di una serata di svago, ma anche del periodo. Uno spettacolo folle, assurdo e disumano che però consente a “Detroit” di consolidare il suo enorme valore, di mettere su quei muscoli che gli servivano per cominciare a muoversi e con i quali, poi, riesce a colpire e a fare male, a provocare lividi, entrando sottopelle e restandoci, come minimo, per qualche giorno.

L'ennesimo esempio di un cinema che vorrebbe costringerci a fare i conti con il passato, con eventi che avremmo dovuto metterci alle spalle, ma che a quanto pare, come fantasmi, tornano a tormentarci e a dirci che, forse, hanno un conto in sospeso e irrisolto su questa terra.
Perché ormai si sta facendo regolare e molto chiara, visti i tempi, la tendenza a riportare a galla problemi che, stando alla Storia, davamo per risolti, ma che invece sono stati sempre qui, immobili, accanto a noi spettatori (e esseri umani) distratti.

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