La battaglia di cui parla il titolo - quella giocata sul campo dalla tennista femminista Billie Jean King e il porco maschilista (così amava farsi chiamare) Bobby Riggs - nel film di Jonathan Dayton e Valerie Faris, occupa solo l'ultima quarantina di minuti. Quaranta minuti di cui una quindicina scarsi appartenenti alla campagna pubblicitaria, alle schermaglie e al montaggio alternato di una preparazione che se da una parte - quella più coinvolta - vedeva un impegno e uno stress non di poco conto, dall'altra aveva preso la piega di uno show televisivo acchiappa ascolti, festini e merchandising.
Questo perché nel film di Dayton e Faris, quello che fu uno degli incontri sportivi di tennis tra i più leggendari di sempre, vuole essere, in realtà, uno specchietto per le allodole utile a fornire l'assist perfetto per raccontare (e far conoscere) al meglio la personalità e l'avanguardia di una donna che è stata pedina fondamentale nella lotta in favore dell'uguaglianza di genere: una delle più importanti e controverse, ancora oggi argomento delicato e costantemente in discussione. Non sorprende allora che sia la King impersonata da un’equilibrata (e leggermente imbruttita) Emma Stone a essere sempre in punto di battuta in "La Battaglia Dei Sessi", che a Steve Carell tocchi il compito più semplice di stemperare, diffondendo la sua verve comica in quei sprazzi in cui l'intimo femminile e femminista, su cui sono puntati i fari, ne approfitta leggermente per recuperare energie e non appesantire i toni. Ci troviamo infatti in un'epoca - gli anni '70 - dove il maschilismo regna e la donna tolta dalle mura di casa e dalla cucina è vista un po' come minaccia e un po' come inappropriata, biologicamente incapace di affrontare il medesimo mondo governato a petto in fuori dalla sua rispettiva, e muscolarmente superiore, controparte, che non perde tempo a ricordarglielo a suon di scherno e umiliazioni. Un capriccio che si riversa, in maniera fisiologica, anche nello sport, nello specifico in un tennis che paga le atlete con un ottavo dei compensi che riserva al sesso opposto, sebbene, stando ai numeri, non esista alcuna variazione tra le parti in termini di incasso, di pubblico e quindi di spettacolo.
Eccola la goccia che fece traboccare il vaso, quella che spinse la King a sfidare l'associazione dei tennisti professionisti in una guerra a colpi di sponsor e tornei concomitanti che rapidamente ingrossò il suo significato politico, raggiungendo anche chi con il tennis centrava poco o addirittura niente. Un movimento che sollecitò donne, omosessuali e, con loro, una piccola forbice di uomini, attirando le attenzioni di stampa e televisioni, insieme agli inguaribili pruriti da scommettitore di un Riggs, ormai ritiratosi dal professionismo, ma annoiato dalla vita d'ufficio tanto da vedere all'interno della situazione una scappatoia sia per alzare ottime cifre e sia per andare a nutrire il suo ostentato machismo. In pochi erano a conoscenza, del resto, che tutto ciò per la King era più di un onesto capriccio, in pochi sapevano della sua omosessualità, accarezzata dalla pellicola con grandissima sensibilità e cautela, in quelle scene in cui la Stone e Andrea Riseborough con dolcezza prima si incontrano e poi si percepiscono: consce entrambe che quello che stavano oltrepassando era uno step, si, della stessa battaglia, ma troppo prematuro e rischioso per il momento.
Perché quello raccontato da "La Battaglia Dei Sessi" è l'incipit, o comunque un tassello prezioso, di un qualcosa di gigantesco, di Storico, legittimo; uno di quei piccoli passi che contribuiscono - o dovrebbero farlo, in teoria - a rendere grande l'umanità, a estendere l'uguaglianza, a integrare ogni minoranza: avvicinandoci ulteriormente a quella libertà di cui parla Alan Cumming alla fine del film, che a quanto pare continua a tardare di volta in volta - anche rispetto alle previsioni, forse - il suo compimento.
Un compimento che invece riesce benissimo a Dayton e Faris, a giudicare la stoffa della commedia con cui hanno deciso di vestire il loro film, la retorica da cui si son fatti bagnare appena, appena (e sono nel finale), prendendola a racchettate nelle situazioni più difficili, e il cast azzeccatissimo al quale andrebbe fatto esclusivamente uno scrosciante applauso.
Trailer:
Questo perché nel film di Dayton e Faris, quello che fu uno degli incontri sportivi di tennis tra i più leggendari di sempre, vuole essere, in realtà, uno specchietto per le allodole utile a fornire l'assist perfetto per raccontare (e far conoscere) al meglio la personalità e l'avanguardia di una donna che è stata pedina fondamentale nella lotta in favore dell'uguaglianza di genere: una delle più importanti e controverse, ancora oggi argomento delicato e costantemente in discussione. Non sorprende allora che sia la King impersonata da un’equilibrata (e leggermente imbruttita) Emma Stone a essere sempre in punto di battuta in "La Battaglia Dei Sessi", che a Steve Carell tocchi il compito più semplice di stemperare, diffondendo la sua verve comica in quei sprazzi in cui l'intimo femminile e femminista, su cui sono puntati i fari, ne approfitta leggermente per recuperare energie e non appesantire i toni. Ci troviamo infatti in un'epoca - gli anni '70 - dove il maschilismo regna e la donna tolta dalle mura di casa e dalla cucina è vista un po' come minaccia e un po' come inappropriata, biologicamente incapace di affrontare il medesimo mondo governato a petto in fuori dalla sua rispettiva, e muscolarmente superiore, controparte, che non perde tempo a ricordarglielo a suon di scherno e umiliazioni. Un capriccio che si riversa, in maniera fisiologica, anche nello sport, nello specifico in un tennis che paga le atlete con un ottavo dei compensi che riserva al sesso opposto, sebbene, stando ai numeri, non esista alcuna variazione tra le parti in termini di incasso, di pubblico e quindi di spettacolo.
Eccola la goccia che fece traboccare il vaso, quella che spinse la King a sfidare l'associazione dei tennisti professionisti in una guerra a colpi di sponsor e tornei concomitanti che rapidamente ingrossò il suo significato politico, raggiungendo anche chi con il tennis centrava poco o addirittura niente. Un movimento che sollecitò donne, omosessuali e, con loro, una piccola forbice di uomini, attirando le attenzioni di stampa e televisioni, insieme agli inguaribili pruriti da scommettitore di un Riggs, ormai ritiratosi dal professionismo, ma annoiato dalla vita d'ufficio tanto da vedere all'interno della situazione una scappatoia sia per alzare ottime cifre e sia per andare a nutrire il suo ostentato machismo. In pochi erano a conoscenza, del resto, che tutto ciò per la King era più di un onesto capriccio, in pochi sapevano della sua omosessualità, accarezzata dalla pellicola con grandissima sensibilità e cautela, in quelle scene in cui la Stone e Andrea Riseborough con dolcezza prima si incontrano e poi si percepiscono: consce entrambe che quello che stavano oltrepassando era uno step, si, della stessa battaglia, ma troppo prematuro e rischioso per il momento.
Perché quello raccontato da "La Battaglia Dei Sessi" è l'incipit, o comunque un tassello prezioso, di un qualcosa di gigantesco, di Storico, legittimo; uno di quei piccoli passi che contribuiscono - o dovrebbero farlo, in teoria - a rendere grande l'umanità, a estendere l'uguaglianza, a integrare ogni minoranza: avvicinandoci ulteriormente a quella libertà di cui parla Alan Cumming alla fine del film, che a quanto pare continua a tardare di volta in volta - anche rispetto alle previsioni, forse - il suo compimento.
Un compimento che invece riesce benissimo a Dayton e Faris, a giudicare la stoffa della commedia con cui hanno deciso di vestire il loro film, la retorica da cui si son fatti bagnare appena, appena (e sono nel finale), prendendola a racchettate nelle situazioni più difficili, e il cast azzeccatissimo al quale andrebbe fatto esclusivamente uno scrosciante applauso.
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sembra un titolo interessante, appena arriva non me lo perdo proprio, i precedenti film della coppia Dayton Faris mi sono piaciuti ^_^
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