Thor: Ragnarok - La Recensione

Thor: Ragnarok Waititi
Ragnarok è la maledizione: quella che dovrebbe abbattersi su Asgard portandola fino alla sua distruzione.
Nella finzione ad impersonare tale condanna è la Hela di Cate Blanchett: sorella-primogenita di Thor, esiliata da Odino, con il quale ha combattuto fianco a fianco per conquistare quel regno, poi governato dal padre, che lei avrebbe voluto ampliare ulteriormente rinunciando alla pace e procedendo alla guerra.
Nella realtà, tuttavia, la maledizione di “Thor: Ragnarok” sembra quasi essere rappresentata più dal regista Taika Waititi: non proprio a suo agio nel muoversi in un universo così agitato ed immenso come quello Marvel, al punto da somigliare, paradossalmente, al Bruce Banner del film nel preciso istante in cui smette di essere Hulk.

Diventare verde, forse, poteva fargli comodo allora, magari per far sentire la sua voce o al limite per giustificare una fuga che avrebbe potuto essere salvifica per tutti. Fa un passo indietro infatti il franchise di Thor con questo terzo capitolo, allo stesso modo di come il cinema di Waititi non fa alcun passo in avanti, anzi. La linea comica, la commedia che si voleva imprimere alla saga, viene strozzata dal solito spettacolo roboante e strabordante sparato in faccia come aria compressa (per dirla come direbbero I Cani), un’ondata che, di fatto, va ad occupare uno spazio troppo grande rispetto alle vere necessità, schiacciando i toni leggeri, le opportunità e le inclinazioni di un regista che a questo punto non può che risultare inadeguato rispetto alla meta da raggiungere. Che poi, in un certo senso, inizialmente si era partiti con il piede giusto, con quell'ironia in primo piano, stile “Guardiani Della Galassia”, accompagnata da una musica rock coinvolgente, che lasciava presagire a un divertimento sottile e sfrenato, idoneo a stuzzicarci tra le risate e le comodità della poltrona. Uno scenario che cambia totalmente nel momento in cui fa capolino la villain della Blanchett, che stavolta - e non per colpa sua - anziché rappresentare un valore aggiunto al contesto, si tramuta nel suo esatto contrario.

Thor: Ragnarok WaititiCon la medesima rapacità con la quale il suo personaggio uccide e conquista, Hela toglie a “Thor: Ragnarok” la voglia di non prendersi sul serio, lo appesantisce, levandogli la brillantezza che stava provando a ostentare mentre ingranava a poco a poco verso la marcia migliore. Attraverso lei Chris Hemsworth è costretto a togliersi dalla faccia quell'aria sicura da “ci penso io, state tranquilli”, a separarsi (perlomeno in gran parte) da Tom Hiddleston e dai bei duetti che avevano cominciato a tessere, a rinunciare al fedele martello che disarma lui, ma ancor di più disarma simbolicamente l’intera pellicola. Perché poi anche se di cose ne succedono - e in termini di evoluzione di storia e personaggi ne succedono parecchie - si perde di elasticità e di misura, di interesse, rinunciando a quell'originalità e a quell'estro promessi e non mantenuti, che neppure la parentesi gladiatoresca con Thor e Hulk che se le danno di santa ragione, davanti a un Jeff Goldblum dittatore eccentrico, è in grado di ripagare.

Sarà stato l’influsso negativo di Ragnarok; sarà - come recentemente ha dichiarato David Fincher - che la libertà creativa non fa rima coi registi che accettano di lavorare coi Marvel Studio (o gli studios-tutti); però la certezza è che nel binomio Waititi/Thor qualcosa non ha funzionato. Questo sebbene per un attimo c’era stata l’impressione di un meccanismo destinato a filare a dovere, un meccanismo nel quale all'improvviso, malauguratamente, qualcosa, probabile, abbia fatto irruzione, inceppando tutto. Inesorabilmente e con rimpianto.

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