Quando al termine della visione di un film di Woody Allen, a rimanere impressa più di ogni altra cosa è la fotografia, e quindi non la storia, non una battuta geniale e nemmeno un colpo di scena, vuol dire che qualcosa che non quadra deve esserci per forza. Va detto, a onor del vero, che Vittorio Storaro in “La Ruota Delle Meraviglie” compie un lavoro straordinario e fuori dal comune - illuminando ogni interno e ogni stanza tramite un meraviglioso gioco di luci che filtra dalle finestre rivolte sul coloratissimo luna park di Coney Island - ma è altrettanto assodato che ciò solitamente dovrebbe aiutare ad accrescere, non a sovrastare il valore complessivo di un’opera cinematografica.
Eppure non è immediato accorgersi di quanto Allen in "La Ruota Delle Meraviglie" lavori di rimessa, con un temperamento meno brillante, meno pungente, rispetto a quando, per dire, è in quegli anni in cui la sua ispirazione risplende e trafigge. Non è immediato perché anche quando scrive con la mano sinistra, quando non aggiunge nulla alla sua filmografia, sviluppando temi già visti senza neanche un minimo di rielaborazione, il regista di "Manhattan" sa essere comunque esperto abbastanza, ormai, in materia per coinvolgerci e farci sentire parte del racconto, parte di avvenimenti che - per quanto prevedibili, conoscendolo, in relazione alla meta – costituiscono una filosofia e una visione della vita con cui sarebbe difficile non empatizzare e non rispecchiarsi. Del resto sono sempre le insicurezze, le debolezze umane, le colpe, quelle nevrosi che fanno parte di noi e patiamo a controllare, a dominare le azioni e le scelte dei suoi protagonisti; a spingerli verso un lato oscuro che, forse, non sapevano neppure di avere, pressati da una vita che, naturalmente, procede col suo corso, che a volte sembra quasi volerci beffare, e tendenzialmente se ne frega di quelli che sono i nostri bisogni e i nostri desideri.
Ne sa qualcosa in merito la Kate Winslet (mostruosa, come al solito) della pellicola, che da quando ha tradito il marito, fuggito via non si sa dove, ha visto la sua esistenza cadere in frantumi un pezzo dopo l'altro, prima di essere raccolta da un James Belushi alcolizzato - grossomodo nelle sue stesse e miserabili condizioni - che l'ha portata a vivere in una Coney Island perennemente in festa e rumorosissima: per nulla adatta al suo cronico mal di testa. Un inferno, o un purgatorio (dipende dai punti di vista), che per la donna sembra trovare spiragli di ristoro nel colpo di fulmine estivo con il bagnino, aspirante romanziere, Justin Timberlake, sebbene l'entrata in scena di Juno Temple, figlia del suo attuale compagno, in fuga dal marito-gangster, rischi di complicare un tantino la linearità del suo piano di guarigione.
Prende spunto dalla tragedia shakespeariana allora, stavolta, Allen, citandola esplicitamente, a un certo punto, attraverso la voce-narrante del co-protagonista Timberlake, al quale, in forma sporadica, viene concesso il lusso di abbattere la quarta parete e ammiccare a noi pubblico, ostentando la sua rispettabile preparazione letteraria e giustificando anche parte delle sue astute ed egoistiche azioni. Un suggerimento che, per quanto fornito in tempi prematuri, e quindi del tutto considerabile come fuorviante, man mano che il cerchio si va a stringere, consolida la sua posizione diventando quasi come una bussola: consentendoci di anticipare con margine d'errore praticamente pari a zero, le derive di un conflitto dalla classica impostazione, tristemente orfano di una vena umoristica grottesca che avrebbe agevolato a esaltarlo.
Tuttavia, va ammesso, che il 70% dei drammaturghi in attività darebbe via un arto per realizzare un copione come quelli che Allen tira fuori quando inserisce il pilota automatico, per cui - malgrado "La Ruota Delle Meraviglie" lo ricorderemo più per i cambi di luce rosso/arancione/blu che Storaro gestisce con parsimonia sul volto e sul corpo di una Winslet-musa, che per altro - è innegabile confessare che di fronte a film così è buona educazione ringraziare sempre. E ringraziare col cuore.
Trailer:
Eppure non è immediato accorgersi di quanto Allen in "La Ruota Delle Meraviglie" lavori di rimessa, con un temperamento meno brillante, meno pungente, rispetto a quando, per dire, è in quegli anni in cui la sua ispirazione risplende e trafigge. Non è immediato perché anche quando scrive con la mano sinistra, quando non aggiunge nulla alla sua filmografia, sviluppando temi già visti senza neanche un minimo di rielaborazione, il regista di "Manhattan" sa essere comunque esperto abbastanza, ormai, in materia per coinvolgerci e farci sentire parte del racconto, parte di avvenimenti che - per quanto prevedibili, conoscendolo, in relazione alla meta – costituiscono una filosofia e una visione della vita con cui sarebbe difficile non empatizzare e non rispecchiarsi. Del resto sono sempre le insicurezze, le debolezze umane, le colpe, quelle nevrosi che fanno parte di noi e patiamo a controllare, a dominare le azioni e le scelte dei suoi protagonisti; a spingerli verso un lato oscuro che, forse, non sapevano neppure di avere, pressati da una vita che, naturalmente, procede col suo corso, che a volte sembra quasi volerci beffare, e tendenzialmente se ne frega di quelli che sono i nostri bisogni e i nostri desideri.
Ne sa qualcosa in merito la Kate Winslet (mostruosa, come al solito) della pellicola, che da quando ha tradito il marito, fuggito via non si sa dove, ha visto la sua esistenza cadere in frantumi un pezzo dopo l'altro, prima di essere raccolta da un James Belushi alcolizzato - grossomodo nelle sue stesse e miserabili condizioni - che l'ha portata a vivere in una Coney Island perennemente in festa e rumorosissima: per nulla adatta al suo cronico mal di testa. Un inferno, o un purgatorio (dipende dai punti di vista), che per la donna sembra trovare spiragli di ristoro nel colpo di fulmine estivo con il bagnino, aspirante romanziere, Justin Timberlake, sebbene l'entrata in scena di Juno Temple, figlia del suo attuale compagno, in fuga dal marito-gangster, rischi di complicare un tantino la linearità del suo piano di guarigione.
Prende spunto dalla tragedia shakespeariana allora, stavolta, Allen, citandola esplicitamente, a un certo punto, attraverso la voce-narrante del co-protagonista Timberlake, al quale, in forma sporadica, viene concesso il lusso di abbattere la quarta parete e ammiccare a noi pubblico, ostentando la sua rispettabile preparazione letteraria e giustificando anche parte delle sue astute ed egoistiche azioni. Un suggerimento che, per quanto fornito in tempi prematuri, e quindi del tutto considerabile come fuorviante, man mano che il cerchio si va a stringere, consolida la sua posizione diventando quasi come una bussola: consentendoci di anticipare con margine d'errore praticamente pari a zero, le derive di un conflitto dalla classica impostazione, tristemente orfano di una vena umoristica grottesca che avrebbe agevolato a esaltarlo.
Tuttavia, va ammesso, che il 70% dei drammaturghi in attività darebbe via un arto per realizzare un copione come quelli che Allen tira fuori quando inserisce il pilota automatico, per cui - malgrado "La Ruota Delle Meraviglie" lo ricorderemo più per i cambi di luce rosso/arancione/blu che Storaro gestisce con parsimonia sul volto e sul corpo di una Winslet-musa, che per altro - è innegabile confessare che di fronte a film così è buona educazione ringraziare sempre. E ringraziare col cuore.
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