L'Ora Più Buia - La Recensione

L’Ora Più Buia Gary OldmanSi apre in un parlamento in cui a prevalere è l’oscurità “L’Ora Più Buia”, un parlamento illuminato con decisione solo al centro, dove con concitazione si sta ufficializzando la sfiducia verso il primo ministro inglese Neville Chamberlain, motivata dalla sua incapacità a gestire una politica estera che, in piena Seconda Guerra Mondiale, sta dando risultati tutt'altro che sperati. Serve un uomo nuovo al comando, insomma, un uomo diverso, uno che abbia carisma, orgoglio e l’intelletto necessario per correre ai ripari bene e in fretta, fermando l’avanzata della Germania e di Hitler prima che sia troppo tardi.
In tre parole: serve Winston Churchill.

Una scelta obbligata, in realtà, priva di alternative; per alcuni strategica, anche, e quindi non condivisa ma accettata con disprezzo generale, alla stregua di un male minore. Questo perché Churchill all'epoca non era considerato un politico, ma prima di tutto una figura: era un uomo temuto e imprevedibile, con una disfatta alle spalle e la nomina di mettere avanti sempre sé stesso e il suo ego, a discapito di ciò che fosse più logico e più giusto. Una leggenda infondata, poi scopriremo, sulla quale però Joe Wright gioca sin dalla prima scena in cui ce lo presenta, nella quale vediamo un Gary Oldman burbero e aggressivo che liquida in men che non si dica una Lily James intimorita e appena arrivata alla sua corte come dattilografa. Tutta apparenza, logicamente, perché come Kristin Scott Thomas poi ricorda alla ragazza - cercando di rassicurarla sui modi del marito - "gli uomini sono tutti uguali", e questo vale a prescindere dal ruolo che coprono, dalle scelte che devono compiere e, in seguito, sostenere. E infatti non era così atipico come le voci di corridoio affermavano, Churchill, come ognuno di noi anche lui portava una maschera, certo, ma in certi contesti indossarla, più che un segnale di difesa e di protezione personale, è cosa necessaria e indispensabile per esser credibile nel momento in cui il bisogno è quello di rassicurare una nazione che ormai stava intuendo di aver perduto qualunque tipo di vantaggio (astratto o tangibile) nei confronti dei suoi avversari: in bilico quindi tra la resa emotiva e un tenere duro disperato.

L'Ora Più Buia OldmanCi racconta questo spaccato, allora, la pellicola di Wright e ce lo racconta, ovviamente, dal punto di vista del suo fautore principale, andando a comporre, di conseguenza, un profilo piuttosto nitido, relativo al lato intimo e umano della persona. Vediamo un Churchill perciò che supera di gran lunga la classica silhouette e il bidimensionalismo, un uomo che nel privato è meno sicuro e oscuro di quanto in pubblico si dimostri; ossessionato da una scacchiera di guerra che non lascia troppa libertà di movimento e circondato da colleghi che aspettano solo di vederlo fallire per liberarsene definitivamente. Non molla mai quelle ombre con cui aveva aperto la scena, insomma, “L’Ora Più Buia”, porta avanti un’estetica chiaroscura in perfetta linea con gli istanti e il periodo storico di cui si fa carico, affidandosi a un Oldman a cui dire strepitoso è dire davvero poco e giocando, anche involontariamente - e questo è sicuro - coi riferimenti del “Dunkirk” di Nolan che qui viene citato per forza di cose, aprendo nella nostra mente dei controcampi spontanei e affascinanti.

Si tratta forse del lavoro migliore del Wright regista, un passetto avanti notevole, per lui, sebbene ogni tanto quella paura di perdere l'attenzione dello spettatore e di volergli dare quindi lo zuccherino lo porta a commettere delle leggere sbavature che in un film come questo equivalgono praticamente a peccato. Un peccato minino, sia chiaro, perdonabilissimo, ma che macchia un passaggio di maturità che altrimenti sarebbe stato positivo e eclatante. Un passaggio di maturità che, con un minimo di sicurezza e sfrontatezza in più, sarebbe riuscito addirittura a tirar fuori qualche lacrima in quelle tesissime parentesi dove patriottismo e arroganza - legittimamente - prendono il sopravvento.

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