Fosse stata una produzione italiana - ambientata nel nostro paese, quindi, con sceneggiatori, regista e attori nazionali - il remake de “Il Giustiziere Della Notte” di Eli Roth sarebbe stato battezzato come il primo film a stampo (o della possibile era) leghista. Invece – purtroppo o per fortuna, ma forse nessuna delle due – quello con Bruce Willis chirurgo arrabbiato, trasformatosi in vigilante - dopo che dei ladri (stranieri) gli sono entrati in casa, uccidendogli la moglie e mandando in coma la figlia – è un prodotto al 100% americano: americano contemporaneo, trumpiano, che sposerebbe a occhi chiusi la teoria di armare gli insegnanti per proteggere le scuole.
Te ne accorgi non subito però, anzi, a primo impatto la percezione che si respira è totalmente rovesciata: con un prologo che denuncia un numero eccessivo di delitti metropolitani provocati da armi da fuoco (e sempre da stranieri), facilmente reperibili e diffuse come smartphone. Uno scenario percepito e fotografato da Roth con la cupezza che si merita, ricalcato, magari, in maniera un po’ troppo pesante e stemperato solo dalla presentazione di una famiglia abbastanza perfetta e felice (quella di Willis) che, chiaramente, risulta come una mosca bianca all'interno di tale sistema. Così, quando accade l’inevitabile e la macchina intrattenitiva della pellicola si mette in moto, ciò che ci si aspetta è che, attraverso il processo di far west portato avanti dal protagonista - spinto a immolarsi da una giustizia eccessivamente lenta e razionale - si vada a intraprendere tutto un discorso interessato a ragionare sulla vendita delle armi negli Stati Uniti, sulla sua pericolosità generale e, soprattutto, su cosa significhi vendicarsi e vendicare personalmente un eventuale o potenziale torto subito. Questo senza intaccare il divertimento intrinseco che fa parte della giostra e superare quel limite di serietà che - come sappiamo - non è elemento prioritario per un autore come Roth, che predilige tendenzialmente un cinema esplicito, folle e, se possibile, grottesco.
Eppure - ed è una novità, in questa occasione - il regista di “Hostel” da l’impressione di voler fare il massimo per esprimere un suo pensiero politico; per fare un film politico: uno di quelli che, servendosi del subliminale (ma neanche tanto subliminale), nel profondo stanno lì e vogliono dirti qualcosa, sussurrarti all'orecchio. E qualcosa ce la dice infatti “Il Giustiziere Della Notte”, ci dice che, in certe zone dell'America, l’istituzione della giustizia ha le mani legate, rispetto alla liberà che gli ci vorrebbe per contrastare la delinquenza; che, alla fine, la burocrazia contribuisce non tanto all'ordine, ma al disordine e che se qualcuno volesse assumersi, non ufficialmente, il compito di dare una mano e di eseguire il lavoro sporco, ma giusto, loro potrebbero essere disposti a chiudere un occhio e a incoraggiare: come accade quando a un certo punto l’agente di polizia non ancora soddisfatto dell’indagine, decide non di fare ciò che va fatto, bensì di prendersi un pezzo di pizza e dire a Willis una frase del tipo “se vuoi continuare, continua pure, che sei bravo!”.
Un messaggio che, sebbene sia vicino a quello della sceneggiatura originaria del 1974, porta con sé un concetto enormemente differente e lontano anni luce: perché se è vero che anche Charles Bronson, all'epoca, fu perdonato per aver violato la legge e aver pareggiato i conti di suo pugno, è anche vero che in quel caso il consiglio di salvataggio, per lui, era stato di trasferirsi altrove e tornare a comportarsi da normale cittadino. Nella versione di Roth, al contrario, la risoluzione prevede che a margine di tutti ci sia un netto endorsment, un sostegno compiaciuto e che - tornando alla politica - strapperebbe un sorriso a Trump e a Salvini, forse, ma preoccuperebbe non poco la tranquillità sociale di qualunque cittadina.
Trailer:
Te ne accorgi non subito però, anzi, a primo impatto la percezione che si respira è totalmente rovesciata: con un prologo che denuncia un numero eccessivo di delitti metropolitani provocati da armi da fuoco (e sempre da stranieri), facilmente reperibili e diffuse come smartphone. Uno scenario percepito e fotografato da Roth con la cupezza che si merita, ricalcato, magari, in maniera un po’ troppo pesante e stemperato solo dalla presentazione di una famiglia abbastanza perfetta e felice (quella di Willis) che, chiaramente, risulta come una mosca bianca all'interno di tale sistema. Così, quando accade l’inevitabile e la macchina intrattenitiva della pellicola si mette in moto, ciò che ci si aspetta è che, attraverso il processo di far west portato avanti dal protagonista - spinto a immolarsi da una giustizia eccessivamente lenta e razionale - si vada a intraprendere tutto un discorso interessato a ragionare sulla vendita delle armi negli Stati Uniti, sulla sua pericolosità generale e, soprattutto, su cosa significhi vendicarsi e vendicare personalmente un eventuale o potenziale torto subito. Questo senza intaccare il divertimento intrinseco che fa parte della giostra e superare quel limite di serietà che - come sappiamo - non è elemento prioritario per un autore come Roth, che predilige tendenzialmente un cinema esplicito, folle e, se possibile, grottesco.
Eppure - ed è una novità, in questa occasione - il regista di “Hostel” da l’impressione di voler fare il massimo per esprimere un suo pensiero politico; per fare un film politico: uno di quelli che, servendosi del subliminale (ma neanche tanto subliminale), nel profondo stanno lì e vogliono dirti qualcosa, sussurrarti all'orecchio. E qualcosa ce la dice infatti “Il Giustiziere Della Notte”, ci dice che, in certe zone dell'America, l’istituzione della giustizia ha le mani legate, rispetto alla liberà che gli ci vorrebbe per contrastare la delinquenza; che, alla fine, la burocrazia contribuisce non tanto all'ordine, ma al disordine e che se qualcuno volesse assumersi, non ufficialmente, il compito di dare una mano e di eseguire il lavoro sporco, ma giusto, loro potrebbero essere disposti a chiudere un occhio e a incoraggiare: come accade quando a un certo punto l’agente di polizia non ancora soddisfatto dell’indagine, decide non di fare ciò che va fatto, bensì di prendersi un pezzo di pizza e dire a Willis una frase del tipo “se vuoi continuare, continua pure, che sei bravo!”.
Un messaggio che, sebbene sia vicino a quello della sceneggiatura originaria del 1974, porta con sé un concetto enormemente differente e lontano anni luce: perché se è vero che anche Charles Bronson, all'epoca, fu perdonato per aver violato la legge e aver pareggiato i conti di suo pugno, è anche vero che in quel caso il consiglio di salvataggio, per lui, era stato di trasferirsi altrove e tornare a comportarsi da normale cittadino. Nella versione di Roth, al contrario, la risoluzione prevede che a margine di tutti ci sia un netto endorsment, un sostegno compiaciuto e che - tornando alla politica - strapperebbe un sorriso a Trump e a Salvini, forse, ma preoccuperebbe non poco la tranquillità sociale di qualunque cittadina.
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